Facciamo presto, creiamo un grande sogno collettivo! Il centenario della nascita di Tonino Guerra (questo articolo in una forma diversa è uscito su Il Messaggero ieri) e anticipa in qualche modo “Fellini e Guerra. Un viaggio amarcord” (Ponte Sisto), appena uscito.
Se l’avesse saputo, Tonino Guerra – nato il 16 marzo 1920 a Santarcangelo di Romagna, sempre lì morì il 21 marzo 2012 -, che il centenario della sua nascita sarebbe stato funestato da un’inedita atmosfera distopica non si sarebbe scomposto più di tanto. Lui, nato da famiglia contadina e scampato al campo di concentramento nazista a Troisdorf, alleviando in versi romagnoli la nostalgia agli internati di quelle parti. Lui, scampato a un tumore al cervello con una rocambolesca quanto fortunata diagnosi e una repentina operazione a Mosca. Lui, che aveva lasciato la Romagna per Roma a seguito di una carriera straordinaria da sceneggiatore – per film premiati dall’Oscar come “Amarcord” di Fellini e quasi tutti quelli di Antonioni, con il quale sfiorerà l’Oscar per la sceneggiatura con la nomination di “Blow-up” – per ritornare di nuovo nelle sue terre cercando “l’infanzia del mondo”, aveva a cuore questo Pianeta a cui rivolgeva e augurava parole universali che fossero “per l’umanità, così da creare un grande “sogno collettivo”.
Il suo centenario sarà barricato in casa tra annulli filatelici e inaugurazioni a porte chiuse o mostre virtuali che spaziano nel tributo alla sua opera multiforme che va da racconti e poesie – la brevità è il suo specifico – romanzi, poesie, pastelli ad olio e progetti di fontane distribuite in tutta la Valmarecchia come una grande Land Art e progetti green come L’Orto dei Frutti Dimenticati a Pennabilli. C’è un che di profetico e responsabilizzante per noi in questo stop, nel restare a casa con noi stessi e il peso delle nostre grandi decisioni e programmi. Persino l’assenza del suo amico Luis Sepulveda – presidente onorario dell’Associazione Tonino Guerra atteso all’apertura degli eventi – per il contagio da coronavirus ha un che di sinistro ma nodale.
E allora forse mai come in questo caso non c’è che ritornare alle parole di Guerra.
Intanto i suoi versi in dialetto romagnolo finiti in tutte le antologie e amati da Pasolini e Contini e, raccontano gli aneddoti, da Mao.
“La vita dura poco / tutto cambia o muore; (…)/ Anche la Terra scoppierà / e ci saranno le montagne che voleranno in aria / e l’acqua si rotolerà / su delle stelle morte / e dove girava il mondo ci sarà del vento / con voci, urla e musica / che è restata attaccata alle nuvole”.
Ricordare il finale di “E la nave va” come fa la sua seconda moglie russa, Eleonora Kriendlina, con Guerra dal 1975 alla morte, nella loro Casa dei Mandorli di Pennabilli, dove riposano le ceneri di Tonino incastonate nella roccia appena sopra l’edificio. “Queste giornate che stiamo vivendo – sottolinea – sembrano tratte da quelle scene lì. È come se tutti continuassero a cantare mentre la nave affonda”. Anche in Russia – seconda patria del poeta romagnolo – il centenario si annuncia ricco di eventi.
Ma la Lora, come la chiamava Tonino e tutti continuano a chiamarla in questo spicchio di Romagna, non potrà presenziare ai grandi eventi russi – seconda patria del poeta – bloccata anche lei dall’emergenza. La mostra nella città di Vladimir di sessanta opere di Tonino Guerra che lui aveva regalato a questa città e a quella di Suzdal dopo aver scoperto che in un monastero di questa seconda erano stati internati 10 mila soldati italiani ora sepolti là prigionieri di un campo di concentramento in un monastero. “Ieri – racconta la Lora – tutti i registi dei cartoni animati russi per cui Tonino aveva scritto le favole, lo hanno festeggiato a Vladimir insieme e il 16-17 e 21 marzo sui canali culturali della tv russa ci saranno eventi dedicati a lui”. Ma non sono i soli eventi programmati o posticipati, compresi quelli italiani tutti slittati: dal Premio di Poesia con l’Università di Urbino diretto da Luca Cesari, curatore dell’opera omnia, e Salvatore Ritrovato, alla mostra di Faenza degli artigiani che hanno lavorato con Guerra e a giugno si prevedono due fontane nell’Orto Botanico di Mosca. Così anche il progetto con Carlin Petrini, di un festival dedicato ai frutti dimenticati a settembre.
Nel frattempo, l’opera omnia che Bompiani sta sistematizzando in edizione cofanetto per la cura di Luca Cesari, si arricchirà presto dei volumi dedicati alle sceneggiature (anche per Anghelopoulos, Tarkovskij, Wenders, Monicelli, Rosi e molti altri) con sorprese e scoperte a cui poi seguiranno i diari. Ma è nel sodalizio amicale con Fellini (“siamo amici fitti fitti” come scriveva FF), durato tutta una vita, già prima di “Amarcord”, che vanno cercati i temi essenziali della storia di Guerra: il ricordo dell’infanzia comune, l’infanzia di tutti gli italiani in quello spazio della mente che è stato il loro film di ricordi. Tonino lo raccontava come una grande sinfonia “dove tutti gli strumenti entrano al momento giusto”. Il merito lo attribuiva all’amico regista “io ho dato degli spunti ma il film è di Federico, è lui che ha inventato tutto, pure il mare di plastica”.
Giuliano Geleng, bozzettista per “Amarcord” e tanti altri film di Fellini, che purtroppo qualche giorno fa improvvisamente ci ha lasciato, raccontava di recente: “Ricordo che, mentre lavoravamo ad “Amarcord”, ci vedemmo tutti e tre in Romagna a casa di Guerra, a Santarcangelo. Federico e Tonino stavano da una parte a ricordare cose dell’infanzia. Io mi sentii in imbarazzo e mi allontanai”. Fu un film scritto in solo nove mattine, un parto senza doglie, naturale e dirompente come nei miti e fu un grande successo di pubblico, anche se non come “La Dolce Vita”. Raccontava la loro infanzia come l’infanzia di un’Italia intera entrata con ingenuità nel fascismo. L’infanzia dei loro ricordi: il mare riminese che poi i due cercavano a Ostia in scorribande (“nella macchina verde di Federico”, raccontava Guerra) verso quella spiaggia così evocativa nella somiglianza. La vita li lasciò sempre vicini anche quando la crisi del cinema fece dire a Fellini “Tonino, ma ti rendi conto che siamo rimasti soli a progettare aerei mentre non esistono più aeroporti”. Guerra trovò pace in Valmarecchia, Fellini, purtroppo, quella eterna.
“Da un momento all’altro – scrive Guerra in “Una foglia contro i fulmini” – dovrò pur dire a qualcuno che non sto cercando soltanto la mia infanzia, ma addirittura l’infanzia del mondo” questa è la risposta al mondo moderno delle borgate periferiche di una New York decrepita e contradditoria “con una naturale indifferenza all’innovazione (…) e in cui si ammucchiano i fili della demoralizzazione”. Il segno che la corsa al progresso fa buchi un po’ dappertutto ed è il caso di tornare a quel punto di origine in cui tutto, anche noi, era ancora intatto e in contatto con sé. Quindi, per chi ricordasse Tonino Guerra solo per quell’intimare dallo schermo di una pubblicità “l’ottimismo è il profumo della vita”, vale la pena aggiungere, come fa Lora Guerra, un altro suo aforisma speranzoso: “L’ottimismo è il fiore che cresce sul pessimismo”. Per chi lo ritenesse, infine, un autore “secondario” forse varrà la pena ricordare le sue parole: “Io sarò utile dopo, quando l’umanità avrà voglia di favole e l’infanzia riacquisterà la fantasia tolta da internet”. Forse quel tempo è giunto.