108 metri. The new working class hero (Laterza) di Alberto Prunetti.
“Prendete 1/3 de L’isola del tesoro di Robert Louis Stevenson, 1/3 di Riff-Raff di Ken Loach, 1/3 di vernacolo toscano. Mescolateli insieme, shakerate con grazia rude i giunti della sintassi. Otterrete un cocktail esplosivo che altera la vostra percezione. Un’epica stracciona scritta dai piani bassi della vita”.
Così viene presentata al lettore la nuova prova di Alberto Prunetti (Piombino, 1973 – riportano le biografie) dopo l’interessante esordio di Amianto. Una storia operaia (Alegre) – una neccessaria rendicontazione su fabbrica e famiglia per la strada del memoir. Le stesse bio riportano “traduttore e redattore, ha vissuto per un anno e mezzo in Inghilterra, lavorando come cleaner, pizza chef e kitchen assistant” ad assumere una dose di verità storica e circostanze di tempo precise.
Il testo che precede questa nuova prova non mancava del carattere dell’urgenza. Qui si associa un lavoro corposo e pensoso a suo modo considerevole sulla lingua nella ricerca di un pastiche originale anglotoscano.
L’alba (dopo l’apparente tramonto) di una letteratura operaia (Di Ruscio, Volponi, Ottieri, Bianciardi – molto Bianciardi, almeno 2/3) si ferma su una ricognizione dei nuovi mestieri (nel frattempo già obsoleti) che restituiscono una Londra vintage, che ora sembra già sognata come lo era per il protagonista.
Le pagine più riuscite del libro sono quelle che sembrano più sinceramente spontanee nella scelta della lingua e del racconto: “Non sono comunque da solo le mie letture entrare in un processo di fermentazione tumultuosa. Negli anni da liceale anche il fisico si trasforma. Diventa strano. Le spalle sono da operaio, le gambe da calciatore, gli avambracci pulci sono sottili e lunghi. Partirò per sempre quest’ultimo elemento. Dopo i vent’anni il mio corpo si gonfierà e si asciugherà alternando magrezza ad adipe ciclicamente”.