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Sotto un sole pieno. Aldo Capitini e le urban legends

Sotto un sole pieno. Aldo Capitini e le urban legends.

Capitini_1930 (c) wikipedia

Panta rei, cantava Eraclito di Efeso. Ops, era Gabbani. Comunque vada, sì, tutto scorre: cantiamolo, ricordiamolo alle assemblee di condominio, alla fila alla posta. Le intercettazioni scorrono, il successo di un libro di uno scrittore che forse non esiste, il successo di una cantante che forse no la voce non era la sua ma una roba campionata. Non era vero neppure che il tale tipo era morto, che quel tale altro aveva un tumore, che la sorella di tale politico gestiva cooperative. L’insospettabile caso di una donna scomparsa che invece stava a casa e non aveva sentito il telefono suonare. Le leggende metropolitane (o urban legends) abbondano solo che sono più pervasive.

L’oralità non ha più gli effetti narrati per campi fantasiosi delle nostre saghe adolescenziali: trapianti di organi all’insaputa del trapiantato, sparizioni di ragazze nei camerini all’insaputa dei camerini, francobolli drogati all’insaputa delle poste etc.

La voce va più veloce grazie all’uno a molti dei social. La voce è più consistente causa verosimiglianza, non a caso si parla di post-verità più che di bufale o leggende (segno dei tempi?).

Ma il vero punto sono gli anticorpi. Il vero punto è la nostra immunodeficienza congenita. L’indignazione ci preme almeno quanto la commozione. Ammettiamolo: voteremo pure con il portafoglio, ma la pancia ci fa fare un bel po’ di …beep. Insomma, basta con tutti questi immigrati o non nel mio quartiere, però poi raccogliamo i tappi di plastica per costruire un pozzo in qualche stato africano. E sì, indigniamoci pure se arrivati nell’hotel il cameriere non è cortese, nel ristorante ci servono un attimo dopo quegli altri che sono arrivati dopo di noi, ma poi all’ascensore facciamo passare prima gli altri. In fila alla posta urliamo in faccia a chi ci vuol passare avanti, ma prima avevamo ceduto passo al claudicante. In questa forbice c’è il potere e la debolezza dell’essere.

Recentemente sono state ripubblicate in un volume unico (“Poesie” – Del Vecchio Editore) a cura di Daniele Piccini le poesie di Aldo Capitini per il quale Danilo Dolci così si era espresso in versi:

Aldo:/ ne sento il vuoto –// impacciato a camminare/ ma enormemente libero e attivo,/ concentrato/ ma aperto all’angoscia di ognuno,/ non ammazzava una mosca/ ma era veramente un rivoluzionario,/ miope/ ma profeta.

Capitini sì era un miope profeta. Anche Gandhi non sembrava un gigante esterno ma la fermezza della salute delle idee è ancora visibile a tutti. Anche Capitini mostrava e mostra ancora oggi nei suoi versi questa robustezza che non teme morbi, contagi. Come in questi versi tratti da “Atti della presenza aperta”.




Tu pròdighi, e qualcuno intorno cerca di spender meno
di sé. Ma non hai timore: sei davanti alle leggi del mondo.

Non ti è bastata la nascita; non l’hai custodita come il solo
tesoro: ti sei gettato a fare di più, entusiasmandoti. Sei andato
ai cuori più lontani, là dove era più incerto.

Toccata la commozione, ti è sembrata la mèta: l’hai esaltata

e confessata. Hai mostrato che solo così ti erano graditi
gli sfondi dello spazio, le ore del tempo.
Non hai temuto la debolezza di svelarti. Hai abbondato:
sono cadute la difesa, la manovra per il prestigio. Hai invocato la mensa fraterna per lo spirito che l’unisce.

Come potresti tornare al solo te stesso? Meglio passare,
amante pensieroso, presso le porte.

Questa tua ansia è la tua pace. Per questo eri uscito da te,
sconnettevi le situazioni intorno, non a favor tuo.

Ti sei fatto avvicinamento che nulla chiede: gli altri si rattristano
come davanti a una cosa senza ragione.

Svelarsi senza riserve, entusiasmarsi, fare di più, coltivare un’ansia per gli altri che moltiplica la propria sola presenza, avvicinarsi senza chiedere: ecco gli antidoti alla non-verità. Di per sé è poco efficace l’ombra che proietta un corpo – non importa se piccolo o grande – quando il sole è a mezzogiorno.

questo pezzo è uscito originariamente sull’HuffPost: qui

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Di roberto carvelli

Founder e direttore di "Perdersi a Roma" collabora con Il Messaggero, il Venerdì e Nuova Ecologia. Ha pubblicato libri di prose, poesie e narrativa di viaggio tra cui "Letti" (Voland), "AmoRomaPerché" (Electa-Mondadori), "La gioia del vagare senza meta" (Ediciclo), "Fùcino" (Il Sirente), "Il mondo nuovo" (Mimesis), "Andare per Saline" (Il Mulino) e "I segni sull'acqua" (D editore).