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Niente giocattoli!

Un passato e un presente di modellismo riverberano nel passaggio di anni e nei ricordi d’infanzia che ci regala Stefano Torriani, grande romanista (in entrambe le accezioni dell’etimo), muovendosi tra due rioni di Roma a caccia di giocattoli e miniature. Un inseguimento che purtroppo trova diverse strade ormai chiuse. Quelle dei negozi di giocattoli ormai passati a “peggior vita”.

C’era una volta. Sì, in genere la favole cominciano così, ma stavolta nella memoria non ci sono re, principesse o draghi, bensì negozi piccoli e grandi traboccanti di giocattoli, con vetrine luminose piene di costruzioni, bambole, treni, soldatini, aeroplanini e tutto quello che la fantasia di te, bambino degli anni ’60, possa immaginare.

C’era una volta… una quantità di negozi di giocattoli, dunque. E, secondo il diffuso pensiero unico, oggi gran parte di quella mercanzia sarebbe anche politicamente scorretta. Eppure, le guerre dei nostri pomeriggi non avevano morti o feriti né dolore, ma solo “boom” e “bang” che finivano, nella confusione generale del tavolo o del pavimento campi di battaglia, per l’arrivo della merenda e della “TV dei ragazzi”. E, nonostante quel che si temeva, da quei giochi non mi pare proprio sia uscita una generazione di guerrafondai…

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E i nostri fornitori di sogni, i nostri giocattolai, che fine hanno fatto?
Cammini per le strade del tuo quartiere o rione e non li trovi più. Negozi tutti uccisi (questi sì, con dolore e sofferenza) prima dai videogiochi, poi da internet, dagli affitti e da una crisi che si è mangiata, in ultimo, anche i nostri ricordi…

Quanto erano luminose le strade di Roma quando si avvicinava Natale. Allora l’attesa per tutti quei giochi che avevi visto nelle vetrine (o nella pubblicità su “Topolino”) si faceva ancora più impaziente. Nei remoti anni Settanta a via XX Settembre davanti al Ministero delle Finanze c’era VeBi con le sue tante vetrine piene di meraviglie e le commesse in divisa. Poco più in là, il Palazzo di Vetro con i grandi magazzini CIM, ora austera sede della filiale romana di Banca d’Italia, con un intero piano zeppo di giocattoli in quantità emozionante.

A via Veneto, vicino il Cafè de Paris, un lussuoso negozio in tono con una strada così elegante. All’opposto, in via Servio Tullio un piccolo e affollato emporio, caotico solo per il profano, nel quale i soldatini Baravelli e i modellini Airfix erano l’agognata meta, pagabile con poche monete da 100 lire. Un po’ più in là, in via Puglie, strategica posizione tra scuole elementari, medie e due licei, un negozio di modellismo “serio”, con aerei e navi di legno, di plastica o a motore, condotto da una anziana signora, la cui piccola e affollata vetrina era tappa fissa sulla strada del ritorno a casa dai banchi di scuola.

Quante fantasie a via Puglie… sì, non è un errore, proprio Puglie al plurale. Una precisazione è dovuta ai distratti romani contemporanei: i nomi alle strade del rione (che ormai avrete individuato, in realtà sono due: Sallustiano e Ludovisi) vennero dati quando le odierne regioni, sgorbi amministrativo-affaristici, non le avevano ancora inventate ed esse appartenevano solo alla geografia e non alla politica… ecco perché via Puglie, come allora si chiamava quella terra, e non Puglia. E per restare in argomento, via Romagna ma senza l’Emilia (che nella toponomastica della zona è a poco più di 500 metri, dall’altra parte di via Veneto) e, ancora, via Lucania che non si chiamava ancora Basilicata… Un caso a parte è offerto da via Friuli – anche qui senza la Venezia Giulia – sconosciuta ai più perché chiusa, si, proprio chiusa con un cancello con guardie armate: corre da via Bissolati a via Lucullo, tra l’edificio ex sede dell’INA ora acquisito all’ambasciata americana e il corpo principale della ambasciata stessa e cioè palazzo Margherita. Una strada, ormai da molti anni, espropriata alla città per “motivi di sicurezza”.

Infine, in quegli anni, ogni tanto si vedeva nelle strade del quartiere un signore di mezza età, con un abito stazzonato e una valigia di fibra. Malinconico simbolo di un tempo più semplice che, con dignità, cercava di vendere ai passanti, fermandosi agli angoli delle strade, giocattolini che già allora apparivano vecchi e sorpassati, pistole, aerei di latta e automobiline a molla, quando noi già sognavamo sofisticate ed impeccabili repliche di plastica e metallo in rutilanti colori.