La Annie Ernaux e Roma, Premio Strega Europeo 2016 e Nobel 2022. Un’intervista esclusiva ci ripropone, nello stile del suo capolavoro “Les années” (“Gli anni”, pubblicato in Italia da L’Orma che ringraziamo con l’autrice), pagine di ricordi in una sequenza dolce eppure freddamente meticolosa. Come nel libro. “L’altra figlia”.
“L’altra figlia” è la nuova traduzione di un racconto lungo con cui la casa editrice e il suo editore (e traduttore) Lorenzo Flabbi scostano un velo di questa grandezza a cui ci stiamo (ci stanno) approssimando con la cura a cui altre macchine da guerra nelle librerie non riescono ad accedere. Una piccola perla come questa nuova nelle sue 80 pagine non avrebbe mai visto le stampe diversamente. Invece è bello pensare che, adelphianamente (l’avverbio nasce dalla circostanza che l’Adelphi è la casa editrice che più ha anteposto la grandezza dei propri scrittori alle leggi della foliazione), la Ernaux abbia trovato nella casa (editrice) romana la sua consacrazione anche in brevità.
In fondo, scrivere è un po’ chiamare a sé il vuoto, rievocarlo – figuriamoci a sottilizzare sui numeri delle pagine. Come nel caso di Ginette, la non bambina sorella della narratrice che cerca di “lasciarsi alle spalle il fuori fuoco del vissuto”. E la condanna all’essere “fessa”, quella di chi ha “vissuto in un’illusione”. Sì “non era unica”. Come non lo è nessuno e, forse, l’averlo scoperto presto l’ha resa in realtà privilegiata: “Io non scrivo perché tu sei morta. Tu sei morta perché io possa scrivere, fa una grande differenza”.
Dunque no, scrivere non è solo la condanna della verità e del ricordo, ma persino il suo premio. Un premio con tanta responsabilità ritirato al posto di un’altra che non c’è in tutta la sua assenza ingombrante. Smarrita in foto, “senza corpo” e con tutta una sequela di negazioni. Una serie di “non” che anticipano la resa del ricordo. Ginette può essere ritrovata solo in un’indagine poliziesca di sentimenti smarriti nel silenzio con cui i genitori “proteggevano anche se stessi. Proteggevano te”. In un “biancore di sentimenti” la narratrice ritrova la sorella innominata, in una ricerca a ritroso, dalla lapide riscritta a questo “giro della tua assenza” evocato da 80 pagine dense e spudorate. Per essere risarcita dalle leggi inique degli anni Cinquanta quando “gli adulti consideravano noi, i bambini, come creature dalle orecchie trascurabili, davanti alle quali si poteva dire di tutto senza conseguenze a eccezione di ciò che riguardava il sesso, a cui si poteva alludere”. Alla bellezza della scrittura (e qui della traduzione) della Ernaux, invece, non si dovrebbe solo alludere.
Dolci e freddi sono per l’appunto come si diceva i ricordi meticolosi degli anni della Ernaux che è nata a Lillebonne nel Nord della Francia della Senna Marittima il 1° settembre 1940. Ricordi che passano in successione. Almanaccando tempi sociali (e sociologici, perché no) e reazioni sentimentali: senza soluzione di continuità. Una reciproca influenza, la lettura incrociata di Storia e storia personale. La pillola, la liberazione sessuale. Ma pure elementi apparentemente meno significanti. E tutte le influenze conseguenti, anche le più minuziose. Raccontate. In un’ansia spesso catalogatoria: “impugnare gli oggetti con forza, sbattere le porte. Fare tutto in maniera brusca, che si trattasse di afferrare un coniglio per le orecchie, dare un bacino, stringere un bimbo al petto (…) camminare ad ampie falcate dondolando le braccia, sedersi lasciandosi cadere sulla seggiola…” (“Gli anni”). Una sequenza infinita, e sfinita per eccesso di grazia, di modi di salvare il tempo dall’incuria degli anni dimenticati nella cura di quelli ricordati ma con una linea salvifica che non accetta il fieno in cascina dei semplici fotogrammi ma che tenta, piuttosto, l’operazione scientifica, chirurgica quasi, eppure affettuosa del ricavo dell’esperienza sentimentale.
E mai l’arroganza di bastare a se stessi – a pensarci bene un grave limite per uno scrittore – o di presiedere al rito universale delle cose come un sacerdote, un patriarca, un dio. Una hubris che, in ogni caso, non sarebbe perdonata. Ne “Il posto” (L’orma), per dire, è dato un alert a questa possibilità di racconto del tempo e delle vite, in questo caso del padre: “In seguito ho cominciato un romanzo di cui era il personaggio principale. (…) Da poco so che il romanzo è impossibile. Per riferire di una vita sottomessa alla necessità non ho il diritto di prendere il partito dell’arte, né di provare a fare qualcosa di ‘appassionante’ o ‘commovente'”.
Giorni fa Franco Cordelli, riflettendo sulla critica partecipata – talvolta troppo – visceralmente diceva qualcosa a proposito di modelli per così dire emozionali di lettura. La facciamo facile: uno scrittore non dovrebbe amare troppo un altro scrittore. Come se si temesse un “peccato contro natura”. Per la Ernaux chiediamo il beneficio di una green card, come nel tennis. Ci sentiamo particolarmente vicini a questa scrittrice francese che ha scritto un libro dal titolo “Se perdre” e ci piace pensare che trovare, in un contesto spesso destinato all’entropia come quello delle parole, anche scritte, meriti una fissata certezza, che l’approvazione definita consegna naturalmente.
Dopo alcuni libri usciti per Rizzoli, la Ernaux ha ritrovato in Italia grazie alla casa editrice romana L’orma e al suo traduttore Lorenzo Flabbi una rinnovata attenzione. Dobbiamo a loro la possibilità di avere avuto in esclusiva questa intervista su Roma e li ringraziamo.
Quante volte è stata Roma prima di questa volta, Madame Ernaux?
Je suis allée sept fois à Rome. La première est la plus marquante, j’avais 22 ans et j’étais seule, avec très peu d’argent. Je me souviens que j’avais faim…Je logeais dans une pension assez loin du centre, rue Flavia, une petite rue près de la Via Nomentana et je mangeais seulement le soir. Je suis restée un mois, visitant tout ce qui n’était pas payant, ou pas trop cher… Saint-Pierre – je suis montée à pied au dôme – les églises- j’aimais bien être assise en haut des marches de Santa Maria Aracoel – le Trastevere, l’Ile Tibérine, le Panthéon, les jardins de la Villa Borghese. Comme il faisait très chaud, je prenais parfois le métro pour aller sur la plage d’Ostie;
Sono stata sette volte a Roma. La prima fu la più significativa. Avevo 22 anni ed ero sola e squattrinata. Mi ricordo che avevo fame… Alloggiavo in una pensione lontana dal centro storico, in via Flavia, una piccola strada dalle parti della via Nomentana. Mangiavo solo la sera. Sono restata un mese, visitando solo quello che era gratuito o non troppo caro… a San Pietro – sono salita in cima alla cupola e, sempre per restare alle chiese, amavo molto stare seduta in cima alla scalinata di santa Maria in Aracoeli. Ricordo poi Trastevere, l’Isola Tiberina, il Pantheon, Villa Borghese. Infine, siccome faceva molto caldo qualche volta prendevo il trenino per andare sulla spiaggia di Ostia.
E le altre?
Ensuite, je n’y suis retournée qu’en 1987 et je me suis aperçue que je ne connaissais pas du tout les rues chic descendant de la place d’Espagne, tout simplement parce qu’à 22ans, ça ne m’intéressait pas, c’était trop cher, je m’étais achetée un pull chez Upim, une chaîne bon marché disparue.
Quand j’ai eu un livre traduit en italien, c’était Passione simplice, j’ai été invitée par la Raï Uno à une émission incroyable, qui durait plusieurs heures, avec du public, et il fallait, après avoir été interviewée par l’animateur – j’ai oublié son nom – saluer ce public en agitant le bras tout en marchant au bord de la scène et je me souviens que j’avais peur de me casser la figure sur mes talons!
Après, je suis revenue deux fois à Rome avec un compagnon, dont un premier de l’An 2004, c’était très doux et plaisant, et trois fois pour parler de mes livres, la dernière en 2014, à la sortie de “Il posto”.
Poi sono ritornata solo nel 1987 e mi sono resa conto che non conoscevo minimamente le strade chic che partono da piazza di Spagna. Molto semplicemente perché quando avevo 22 anni non m’interessavano affatto e le boutique erano troppo care per me, allora. Io mi ero comprata un maglione da UPIM, una catena di grandi magazzini che oggi non esiste più.
Quando è stato tradotto in italiano un mio libro “Passione semplice” sono stata invitata da Rai Uno ad una trasmissione incredibile, che durava diverse ore, con un pubblico che, dopo esser stata intervistata da un presentatore – ho dimenticato il suo nome -, alla fine era necessario salutarlo agitando le braccia e camminando ai bordi della scena e io avevo paura di cadere dai tacchi.
Dopo sono ritornata a Roma due volte con un compagno. Di cui una il capodanno del 2004 ed è stato molto tenero e piacevole. Altre tre per parlare dei miei libri, l’ultima nel 2014 all’uscita de “Il Posto”.
Può provare a raccontarci dei posti precisi che ha amato?
Il y a tellement d’endroits, très différents, que j’aime à Rome qu’il m’est difficile de choisir, peut-être, en désordre : la place du Panthéon et les petites rues autour, la place Navone, le quartier du Trastevere, très animé le soir, avec des cafés sympathiques. Les thermes de Caracalla sont pour moi l’une des plus beaux vestiges de l’Antiquité, avant Balbeck…
Ci sono talmente tanti posti, molto diversi tra loro che io amo di Roma che mi è difficile scegliere. Provo ad elencarli, senza un ordine preciso: la piazza del Pantheon e i vicoli intorno, piazza Navona, tutto il quartiere di Trastevere forse per la sua vivacità serale e i suoi locali animati, le Terme di Caracalla sono per me una delle più belle vestigia dell’antichità prima di Baalbek.
Si ricorda come ha scoperto Roma?
J’ai découvert Rome d’abord à travers le roman d’une italienne, Alba de Cespédes, Le cahier interdit – quand j’étais adolescente – et aussi d’ un autre roman, celui-ci d’une française, Jacqueline Marenis, “Dimanche à Rome”. Plus tard à travers Stendhal, ses Promenades dans Rome et Rome, Naples et Florence.
Roma l’ho scoperta attraverso un romanzo di una scrittrice italiana, Alba de Cespédes, che ho letto da adolescente “Quaderno Proibito”. E anche da un altro romanzo, questo di una francese, Jacqueline Marenis, “Dimanche à Rome”. In seguito attraverso Stendhal e le sue passeggiate “Roma, Napoli e Firenze nel 1817” e “Passeggiate romane”.
Trova somiglianze tra italiani e francesi? In realtà, so che vorrei chiederle come potrebbe essere un libro come “Gli anni” scritto da un’italiana…
Il me semble que les Italiens sont le peuple le plus proche des Français mais avec des différences, bien sûr. Beaucoup plus de gaieté chez les Italiens, de réserve , voire de fermeture chez les Français. Culturellement, j’ai l’impression qu’on est moins attaché à la famille en France, et que la religion catholique y est presque une survivance. Qu’il y a toujours pas mal de machisme “naturel” en Italie…
Mi sembra che gli italiani siano il popolo più vicino a quella francese, certo con le dovute differenze. Un po’ più allegri, gli italiani; un po’ più riservati al limite della chiusura, i francesi. Culturalmente, penso che i francesi siano meno legati alla famiglia e che la religione cattolica sia per loro non più che una sopravvivenza. E che in Italia tuttora sia piuttosto diffuso un certo machismo per così dire “istintivo”.
C’è una pagina bellissima ne “Gli anni”. La donna protagonista – una donna e tutte le donne nell’assolutezza del racconto oggettivo eppure intimo che cuce il libro – ha avuto un figlio con tutto quello che ciò comporta. C’è questa scena a un certo punto, molto bella: “Le velleità di spensieratezza e la pretesa di vivere come prima – un’uscita serale con gli amici, magari per andare a vedere un film – si spegnevano con l’arrivo di un bimbo, al quale, nell’oscurità di un cinema, non riuscivamo a smettere di pensare, piccolo piccolo, tutto solo nella sua culla, e da cui precipitavamo appena aperta la porta di casa per sincerarci con sollievo del fatto che stesse respirando e dormendo tranquillo con i pugnetti stretti”. Viene da pensare che, come spesso accade nella vita, quello che è più bello – anche nella sua versione più dolorosa – avviene altrove o mentre stiamo facendo qualcos’altro. In letteratura questo qualcosa è spesso fuori dal testo, appena una riga più in là o nel bianco della pagina dove la scrittura s’interrompe o quando chiudiamo il libro. E questo ha a che vedere con il giusto equilibrio che dovrebbe far amare una scrittrice o uno scrittore – troppo o troppo poco, non importa – proprio per quello che non ha detto. Questo ha a che vedere con la vita. Che, per fortuna, sopporta di essere o non essere amata più di quanto lo sopportiamo noi. Per noi e per gli altri.
Traduzione dal francese di Manuela Pattarini.