Pubblichiamo un estratto da “La rabbia che rimane” di Paolo Di Reda (edizioni Fahrenheit 451). In questo estratto, in cui Giorgia ha trovato lavoro alla fabbrica FATME, emerge la Roma del Tuscolano percorsa in trenino a partire da Colle Oppio dove si è da poco trasferita lasciando via Corsica e da cui guarda il profilo del Colosseo.
Serena doveva essersela presa, per quei rifiuti. Iniziò a dire a Giorgia che doveva stare attenta ai giudizi della gente, che una ragazza come lei doveva dimostrare più delle altre la sua moralità e che forse era il caso di trovare qualcuno che la sposasse e facesse da padre a suo figlio, “perché una famiglia è importante per un bambino, soprattutto per Andrea”. Giorgia era troppo presa dalla ricerca di un lavoro per darle retta. Cercò di fare concorsi, domande di assunzione. Il diploma classico le apriva diverse possibilità, ma una sola si materializzò, con una lettera, una mattina di giugno. Era stata assunta come operaia alla FATME, una fabbrica di telefoni appena fuori Roma. Non era un lavoro piacevole e qualificante, ma Giorgia ne fu contenta. In fondo dava veramente senso alla ribellione contro la sua famiglia borghese, la villa a Monte Mario, quel modo di fare che la disgustava, così rivolto a dare importanza a cose inutili, a puntare tutto sull’apparenza e sulla ricchezza. Ne era fuggita e ora era felice di entrare in fabbrica.
Pensò di cambiare casa, di andare nell’appartamento a Colle Oppio. Era più vicina alla fabbrica: da lì bastava prendere il trenino per Cinecittà da San Giovanni e poi un autobus.
Gli Ambrosi, gli affittuari, avevano avuto un altro figlio e cercavano una casa più grande. A loro andava benissimo la casa di via Corsica, che era più spaziosa e aveva una stanza in più rispetto all’altra, e inoltre era vicina al loro negozio di abbigliamento nella nuova zona commerciale di viale Libia. Giorgia prospettò uno scambio e loro accettarono, compreso un lieve aumento dell’affitto, che a Giorgia faceva davvero comodo.
Fu contenta di trasferirsi. Giorgia adorava la casa di colle Oppio. Le piaceva soprattutto il grande salone che si offriva direttamente all’ingresso, come se quella casa, appena spalancata la porta, rivelasse tutti i suoi segreti. Le altre due stanze si aprivano dopo un piccolo corridoio, divise dal bagno e dalla cucina grande, che affacciava sul cortile interno, ricevendone gli odori, i rumori, con un piccolo balcone da cui si poteva scorgere un pezzo di Colosseo.
Doveva pensare a sistemare le cose, magari vendere qualche mobile che non sarebbe entrato nella nuova casa. Agli Ambrosi non piacevano i mobili antichi della nonna. Aveva quindici giorni di tempo, all’inizio del mese avrebbe dovuto cominciare in fabbrica. Sistemò Andrea in un asilo di suore dietro casa. Era la soluzione migliore, anche se non le piaceva il loro modo di fare, dolce in apparenza, in realtà rigido. Andrea invece ne fu contento: poteva stare con altri bambini a giocare a pallone, la cosa che gli piaceva di più. Prendere la palla e smarcarsi tutti quelli che gliela volevano togliere, questo lo appassionava: in quei momenti si sentiva invincibile.
La prima volta che fece gol, lo raccontò alla madre, appena tornato a casa. Giorgia si fece mostrare come aveva fatto e poi lo abbracciò, intenerita dal suo entusiasmo.
Paolo Di Reda ha scritto sceneggiature e romanzi tra cui: “Ricordare non basta” e “Prove generali per scomparire”. Con Flavia Ermetes ha scritto “Il labirinto dei libri segreti” tradotto in Spagna e Russia e “La formula segreta delle SS”.