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Sigmund Freud

Sigmund Freud e Roma, amore a distanza e presenza.



Sigmund Freud amava Roma prima di esserne ricambiato. Amare troppo non ha mai fatto bene a nessuno. Né all’amato né all’amante. Se dovessimo redigere un bugiardino dell’amore dovremmo iscrivere tra le precauzioni delle avvertenze un alert alle conseguenze del troppo amore. Succede con le persone. Succede con le cose. Con i luoghi. Chi ama troppo rimane deluso. Non è il sunto estremo del teorema di Ferradini. È una forma di hubris: pensare che il nostro (e sottolineo “nostro”) sentimento prima di essere (creduto) d’amore, condiviso e messo in circuito con quello di chi o cosa pretendiamo di amare abbia già una efficacia totalizzante. Un modo per credere malamente (ovvero presumere) che si possa esaurire nella nostra libera scelta dell’altro. Freud ha amato Roma da lontano. Prima di vederla. Prima di conoscerla.

Ci arriva il 2 settembre 1901 con il fratello Alexander. Fino ad allora ha già conosciuto il nostro paese ma la Capitale è solo un’attesa carica di aspettative a cui attribuisce un valore personale, quasi un’emancipazione destinata a generare risultati creativi e scientifici. Prova ne sia che nei soggiorni tra il 1912 e il 1913 scriverà un saggio su “Il Mosè di Michelangelo”, il preambolo a “Totem e tabù”, la traccia di un saggio sul narcisismo e articoli vari. Ammetterà il successo dell’aria capitolina: “A Roma, di una bellezza senza paragoni, ho ritrovato ben presto buon umore e la voglia di lavorare”.

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Freud (C) wikipedia

Ma facciamo un passo indietro. Prima di giungervi Freud aveva nella mente un’idea della città che avrebbe potuto non corrispondere. Ingigantita? Presunta? “Il mio desiderio di andare a Roma è profondamente nevrotico. È legato all’infatuazione che nutrivo al ginnasio per l’eroe semita Annibale” (scrive in una lettera a Fliess). Quando vi arriva per la prima volta la delusione è implicita. Ed esplicita: “Dovrei scriverti di Roma, ma è difficile. È stata anche per me un’esperienza sconvolgente e, come sai, l’appagamento di un desiderio a lungo accarezzato. Sono rimasto un po’ deluso, come accade per le cose attese per lungo tempo” (altra lettera a Fliess). La collana Remo della Lozzi Publishing ci fa conoscere le lettere e le cartoline romane del grande babbo della psicanalisi (“Lettere da Roma”).

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Dentro ci troviamo queste delusioni da ansia da prestazione turistica e culturale e poi, siccome la vita può ristupirci sempre, il successivo rinnamoramento. Non più infatuazione ma conoscenza. Non più nevrosi ma circolo e scambio. Ecco così le tre Rome, che apprezza riconoscendo anche la vitalità di una Roma moderna. Le opere d’arte che lo affascinano: il Mosè di San Pietro in Vincoli e quelle dei Musei Vaticani. Le cose migliorano, insomma. Uno scirocco o una tramontana. Un disargine che rende difficile lo scrivere (perché nell’Urbe “si viene continuamente distolti dai propri doveri e non si arriva a far nulla”). Le donne: “Le donne tra la folla sono molto belle, quando non sono straniere, le romane sono stranamente belle anche quando sono brutte, ma in verità non molte di loro lo sono”. Una via del Centro intasata, una Villa Borghese (e annesso museo) che lo stupisce per l’originalità varia degli alberi e per cui scrive “un gran parco con castello e museo… dove si trova tanto per dire il più bel Tiziano in assoluto, chiamato Amor sacro e amor profano”. Il Gianicolo: “Davvero magnifico e io non mi sono mai sentito tanto bene”. Poi Castel Sant’Angelo con il panorama più bello della città. Poi al teatro Quirino per la Carmen di Bizet. Solo di un successivo viaggio a Roma dirà: “Per me è molto naturale essere a Roma, non ho alcuna sensazione di estraneità”.

Ma è la prova del teorema: mai amare prima di essere ricambiati. Mai perché è amore il circolo che si crea non la freccia che si scaglia. Anche il Cupido delle città dovrebbe essere un viaggiatore che si fa accogliere prima che un cacciatore che conquista con manovre sinuose la sua meta e la sua metà. Roma va messa in circolo anche per noi abitanti, solo così saremo sicuri di amare ed essere ricambiati. Andando oltre i difetti. I nostri. E i suoi.

Di roberto carvelli

Founder e direttore di "Perdersi a Roma" collabora con Il Messaggero, il Venerdì e Nuova Ecologia. Ha pubblicato libri di prose, poesie e narrativa di viaggio tra cui "Letti" (Voland), "AmoRomaPerché" (Electa-Mondadori), "La gioia del vagare senza meta" (Ediciclo), "Fùcino" (Il Sirente), "Il mondo nuovo" (Mimesis), "Andare per Saline" (Il Mulino) e "I segni sull'acqua" (D editore).