Carlo Dossi in “Amori” canta la formosità delle donne romane fusa in un’ideale federazione di regionale bellezza.
Mi ero allora assoggettato ad una nutrizione, spinta alle dosi più alte, di romanzi moderni, e debbo èssermene certo cacciati in corpo più che non ne potessi assimilare, perocchè oggi non riuscirèi a fàrcene stare uno di più, compresi i mièi. Oggi il capo dello scrittore paralizzò lo stòmaco del lettore.
Abbandonàndomi dunque alla sdrucciolina del romanzo — sola menzogna onesta e lodèvole — cominciài allora a pigliare, per le eroine che vi campeggiàvano, il più vivo interesse, caddi anzi di taluna di esse sifattamente innamorato da sentir gelosìa per gli amanti che l’autore aveva lor destinato, da irritarmi persino con essi, quandoparèvami che trattàssero le loro dame men bene di quanto le avrèi io trattate.
Nè una passione, col mutar di romanzo, sostituìvasi all’altra. De’ suòi amori, Margherita di Navarra dicèa che l’ùltimo le rinfrescava sempre la memoria del primo, e altrettanto potrèi dir io de’ mièi. Ogni nuovo amore, per mè, era ed è un fiore che aggiùngesi al mazzo dei precedenti e ne aumenta il profumo.
A questo mazzo imposi però un nome ùnico, quasi sèrico nastro che collegasse i vari fiori, “Amelia”, creatura ideale tra la nùvola e l’ombra, in cui impersonavo, mano a mano, le virtù e bellezze delle mie eroine e che tutte insieme me le rappresentava, come nel nome di “donna italiana” splèndono fuse la formosità delle romane e l’eleganza delle lombarde, lo spìrito delle vènete e il calor delle sìcule.
Da “Amori” di Carlo Alberto Pisani Dossi, in arte Carlo Dossi (Zenevredo, 27 marzo 1849 – Cardina, 17 novembre 1910).