Ricordo i negozi di dischi della mia adolescenza.
Ricordo le botteghe dove acquistavo la musica, prima che inventassero gli mp3, prima che i CD si potessero ordinare via internet. Ricordo, insomma, i negozi di dischi.
Ricordo i piccoli negozi di dischi che si trovavano nel quartiere Portuense, dove abitavo quando ero ragazzino. Il negozio di via Giuseppe Troiani gestito da una signora che era stata vicina di casa di mio padre quando entrambi erano bambini (con quanta sorpresa si erano riconosciuti, a distanza di decenni, quella volta che mio padre mi accompagnò lì per comprare chissà quale musicassetta).
E l’altro, a pochi isolati dalla mia scuola elementare dalle parti di Vigna Pia, dove entrai con un mio compagno di classe per comprare un 45 giri da portare in regalo a una festa di compleanno. Ricordo che il mio amico disse al proprietario: noi il disco lo compriamo, ma prima lei ci deve assicurare che la puntina non salti. E il proprietario, senza scomporsi, estrasse il vinile dalla copertina, lo appoggiò sul piatto del suo giradischi e ci fece ascoltare tutto il disco, lato A e lato B.
Ricordo che nei negozi più forniti i dischi in vinile erano disposti in grandi raccoglitori. Ma di ogni disco c’era solo la copertina (per evitare furti, mi spiegarono). Quando volevi comprare un disco prendevi la copertina e la portavi alla cassa. Il commesso scompariva nel magazzino e ne riemergeva dopo aver imbottito la copertina con il vinile corrispondente.
L’idea di quell’antro inaccessibile, dove vinili senza copertina erano allineati in quantità, mi provocava al tempo stesso inquietudine e desiderio. I CD, invece, quando cominciarono a esserci i CD, erano custoditi dentro teche appese al muro, sfogliabili come le grandi pagine di un libro di plastica. Le teche erano chiuse a chiave e quando volevi comprare un CD dovevi chiamare il commesso alla cassa, indicare il CD che intendevi acquistare, farti aprire la teca, prelevare la custodia, pagare e finalmente uscire dal negozio con il tesoro tra le mani.
Per i vinili come per i CD la domanda che mi ponevo, prima di comprarli, era sempre la stessa: «Dentro ci saranno i testi delle canzoni?». Quando ero ragazzino mi sembrava di fondamentale importanza sapere cosa dicessero esattamente le canzoni che mi piacevano (ricordo che i miei amici non capivano questa mia fissazione). Adesso che sono grande la musica mi sembra più importante delle eventuali parole cantate.
Ricordo il settore dischi della libreria Rinascita a via delle Botteghe Oscure, che prima si trovava nel seminterrato e poi divenne un negozio a se stante. Mi piaceva di più la prima posizione. Mi piaceva scendere le scale e immergermi, a volte anche per ore, tra quegli scaffali pieni di dischi e CD.
Ricordo Revolver a via Rosazza, altro mitico negozio di dischi della capitale, meta di tantissimi pomeriggi. La musica sempre ad alto volume all’interno, le ore passate a scartabellare copertine con un punk alla destra e un metallaro alla sinistra, tutti in fila come polli in batteria cercando il disco che assolutamente non poteva mancare nelle nostre personali collezioni. Ricordo che i proprietari del negozio a un certo punto si separarono.
Uno di loro “spostò” Revolver dalle parti di Ponte Marconi, un altro aprì un nuovo negozio vicino Piazzale della Radio, Pink Moon, che si sviluppava più in altezza che in larghezza. Ricordo che alcuni anni fa mi capitò di vedere in TV uno dei proprietari di Revolver che partecipava come concorrente a un noto quiz musicale, uno di quei giochi in cui bisogna indovinare il titolo della canzone ascoltandone solo pochi secondi. «È il gioco perfetto per un proprietario di un negozio di dischi», ho pensato.
Ma più di tutti ricordo Disfunzioni Musicali, parnaso dei negozi di dischi di Roma, un negozio enorme nel quartiere San Lorenzo. Arrivare lì da casa mia era un viaggio. Poi, quando cominciai a frequentare l’università, diventò improvvisamente vicino. Molto spesso, tra una lezione e l’altra ne approfittavo per infilarmi lì dentro tra la gioia di poter rovistare tra tutti quei dischi e il dolore di non avere mai abbastanza soldi per comprare tutto quello che avrei voluto.
Certo è curioso parlare di dischi in vinile oggi che la mia Wunderkammer musicale è un hard disk da due terabyte zeppo di file (in formato audio lossless, ça va sans dire) collegato al mio impianto hi-fi che controllo da remoto grazie a una app su uno smartphone.
Mi torna in mente la quiete che piombava di colpo nella stanza quando il braccio del giradischi raggiungeva la fine corsa del solco. Oppure il tlac! che faceva il tasto play del walkman che ascoltavo ogni notte prima di addormentarmi quando il nastro finiva lasciandomi da solo con il silenzio della stanza.
Ecco, in quei momenti lì il silenzio assumeva un altro significato. Non era più una semplice pausa tra un brano e l’altro nell’infinita playlist che faccio suonare dall’hard disk. Era lo spazio acustico che mi permetteva di riflettere su quello che avevo ascoltato. E mi rendo conto solo ora che, dopo ogni ascolto, ogni silenzio era diverso. Il silenzio dopo una sinfonia di Mahler non era lo stesso silenzio che si sentiva dopo un pezzo punk. Si colorava delle note appena suonate, come il retrogusto nel palato dopo un sorso di vino.
Che le abitudini cambino, mi sembra normale. Altrettanto normale mi sembra che io oggi preferisca navigare tra un sito di vendite online (con la certezza di trovare pressoché tutto quello che cerco) anziché uscire di casa, parcheggiare, impiegare tempo in un negozio, scegliendo tra un’offerta che non può che essere limitata. Non voglio entrare nel dibattito tra nostalgici e sostenitori del web. Almeno in una cosa, però, i vecchi negozi di dischi erano migliori degli attuali negozi on line. E per quanto possa sembrare paradossale, questo punto di forza era costituito da un loro difetto.
Per ovvi motivi, anche il più fornito negozio di dischi non poteva avere tutto. Ciò faceva sì che, spesso, io uscissi di casa con l’intenzione di comprare un disco ben preciso per poi scoprire, una volta arrivato in negozio, che non l’avevano. C’erano due possibilità: tornare a casa a mani vuote (eresia) oppure comprare qualcos’altro. A volte, questo “qualcos’altro” era qualcosa di totalmente non preventivato. Spesso ripiegavo su un artista o un album di cui sapevo poco o nulla. Come è facile supporre, molta bella musica l’ho scoperta per caso, così.