Avete letto “La città ai confini del cielo” di Elif Shafak? Un consiglio di lettura.
Il romanzo della scrittrice turca Elif Shafak si inserisce nel filone della narrativa di ambientazione rinascimentale che trova nelle serie televisive europee e americane un terreno di cultura particolarmente vivace.
Le due serie dedicate alla famiglia Borgia (una canadese, una franco-tedesca), il fantasioso “Da Vinci’s Demons” (di produzione anglo-americana) e soprattutto “Il secolo magnifico” (Muhteshem Yüzyıl) trasmesso in 139 puntate sul canale turco Star TV tra il 2011 e il 2014 per la regia dei fratelli Taylan, ambiziosa ricostruzione della vita del sultano ottomano Solimano il Magnifico (1494-1566) e della sua corte, sembrano avere offerto alla Shafak lo spunto per raccontare vita ed entourage del grande architetto di Solimano, Sinan (1489-1588), e soprattutto la ricetta di una mescolanza di dati storici, particolari tecnici, personaggi veri e inventati, colpi di scena, fughe rocambolesche, peripezie, agnizioni e tradimenti.
Modelli alti non mancano, dai classici “Il castello bianco” e “Il mio nome è rosso” di Orhan Pamuk, ai raffinati romanzi storici di Ihsan Oktay Anar (autore di vari bestseller in Turchia, a partire dall’”Atlante dei continenti nebbiosi” del 1995), alla divulgazione storico-scientifica di Bülent Atalay, fisico turco-statunitense che ha dedicato un libro a Leonardo da Vinci e la matematica “(Math and the Mona Lisa: the Art and Science of L.da V.”, nel 2004). Va poi qui ricordato il notevolissimo e complesso “Hammam Balcania” (2008, trad. it. 2012) del serbo Vladimir Bajac, in cui l’architetto Sinan è un personaggio centrale, insieme al gran visir Mehmet Sokollu. Pur accennando alle questioni tecniche dell’architettura, che tendono naturalmente a farsi sociologiche e filosofiche, Elif Shafak vola più basso di Bajac.
Tuttavia la capacità di cucinare il romanzo “per tutti” nella scrittrice turca (che scrive in inglese) non è mai disgiunta da un impegno di alto profilo. Si ha cioè l’impressione che Shafak usi la materia storica e l’architettura non per favorire l’assorbimento dell’amara medicina al lettore infantile, ma per trasmettere un valore contemporaneo qual è l’amicizia necessaria (non la semplice tolleranza) tra culture diverse. Già dai tempi della “Bastarda di Istanbul”, fino al più recente “Le quaranta porte”, Elif Shafak usa la storia al servizio di una geopolitica del dialogo universale.
In “La Città ai confini del cielo” (tit. orig.: The Architect’s Apprentice, Milano, Rizzoli, 2014, p. 558, scorrevole traduzione dall’inglese di Beatrice Masini), Jahan, un orfano turco che si spaccia per indiano viaggiando avventurosamente per nave come improvvisato guardiano di Chota, un raro elefante bianco da portare in regalo a Solimano, fa carriera nella Istanbul del Cinquecento come assistente dell’architetto di corte Sinan, ma il suo maestro lo invita a studiare, non solo l’architettura, ma anche l’italiano.
Il dotto ebreo sefardita Simeon Buendia gli mostra lo schizzo del progetto di un ponte sul Corno d’Oro disegnato da Leonardo e gli regala una Divina Commedia e, quando Jahan sarà mandato a Roma per studiare e conoscere Michelangelo, parlerà prima con Leon, fratello di Simeon, che vive nel ghetto.
I quattro assistenti di Sinan, cioè Davud, Nikola, Yusuf e Jahan, che condivide con l’elefante Chota il ruolo di protagonista del romanzo, provengono dai quattro angoli del mondo, quasi come i marinai di Achab in Moby Dick. Lo sprovveduto Jahan, inoltre, si trova per tre volte in grave pericolo ed è sempre salvato dal sanguigno re dei rom Balaban, una relazione d’amicizia che ricorda quasi quella tra il ribelle Pugacëv della Figlia del capitano di Puskin e il suo giovane protagonista Pëtr Grinëv.
L’argomento profondo della Città ai confini del cielo è insomma il legame profondo fra individui che provengono da culture diverse e che, a partire dal protagonista Jahan, devono nascondere la loro vera identità e i loro sentimenti: tema romanzesco per eccellenza, ma anche situazione storicamente documentata di che viveva nel Serraglio ottomano (e forse in qualunque luogo di gestione del potere). Nota linguistica: Sheitan, Aristo e Askandar sono Satana, Aristotele e Alessandro Magno.