Ma come fanno gli operai. Precarietà, solitudine, sfruttamento. Reportage da una classe fantasma di Loris Campetti, Manni Editore, arriva al tempo giusto il Cinquantesimo di un anno spartiacque in un paese, l’Italia, che ha ancora molto da dire e far dire alla sua industria, ai suoi industriali e alla vasta pletora dei pensatori del lavoro e di quelli che citano Olivetti.
Operai con crisi abbandoniche da partiti e sindacati, politiche liberiste e crisi in una miscela simile al crac. Come è il presente e ancor prima come sarà il futuro del lavoro “pagato” (va detto, o no, che siamo sempre più consumatori e testimonial non pagati oltre che volontari prestatori d’opera a caccia di sussidi per mantenere la precarietà?)? Ce lo racconta Campetti attraversando l’Italia. I titoli dei capitoli sono significativi: I pacifisti della Beretta, Nella giungla di Monfalcone, Luxottica, miracolo a Belluno (dove si sfata in parte il mito di un Del Vecchio neo Olivetti),Cooperative rosse di vergogna, Metti una sera a cena, con Foodora (quelli che pedalando ci portano la cena sul pianerottolo). Non mancano FIAT e Brembo. Fincantieri e Agusta, Aermacchi, Maserati e Pininfarina. Campetti che ha un passato (a “il manifesto”) di esperto di ciminiere ci porta in un corpo vivo di inquietudini e attese deluse che ha finito per influenzare l’urna stingendo il rosso nel verde o nell’azzurro e persino nel nero. Un pantone assurdo a dispetto dei grafici.
La fiaba ha tanti orchi cattivi o maghi fintobuoni: dalla cancellazione dell’articolo 18 al jobs act e il refrain della precarietà. La sorte dell’avversario è quella che fa riflettere di più: non più chi comanda, bensì chi sta più in basso ed è più debole. La vecchia sindrome dello specchietto retrovisore che ora inquadra a tutto profilo gli immigrati.
Questo libro è, in ultimo, un reportage molto informato e ricco sul cambiamento culturale che hanno subito in questi decenni trascorsi i lavoratori, arruolati con un sms e pagati a cottimo, licenziati con la stessa facilità. Campetti racconta impietosamente l’analisi politica di un fenomeno ormai in complicazione e conduce un’indagine che spazia tra i dipendenti delle Coop reggiane finite in tribunale e quelli di marchi apparentemente attenti ai collaboratori (non interinali) per ricordarci che forse il ’68 è definitivamente lontano – e ora sono in tanti a non gioirne.