Ricognizione di venti da Nick Hunt in “Dove soffiano i venti selvaggi” (Neri Pozza). Qui la Bora (e inevitabilmente Trieste) la fa da padrona.
“Fa bora due volte la settimana e cinque volte vento forte. Dico vento forte quando si è costantemente occupati da tenere stretto il cappello e bora quando si ha paura di rompersi un braccio” avrebbe detto Stendhal a esergo del capitolo dedicato a questo vento dell’est. Gli altri sono: helm föhn e mistral.
Nick Hunt trova una sua definizione del vento slavo “L’enfant terible dell’Adriatico, la bora che prende il nome da Borea il dio dell’inverno della barba di ghiaccio”. Ma ama passare per la via dell’oggettività “La bora è un vento gelido e secco che si forma quando l’aria fritta da nord-est sia cumula dietro il ciglione carsico e sul versante continentale delle catene montuosi che corrono lungo la costa”.
Ma poi c’è un dato quasi statistico, commisto di umano e personale. “Aspetti una bora per tre settimane e ne arrivano due tutte insieme” dice Hunt uno che si è attirato i complimenti di Jan Morris (“Il vento, le leggende, la bellezza dei paesaggi… Un resoconto irresistibile e divertente. Un contributo originale alla narrativa di viaggio) e del New Statesman (“mescola elegantemente la narrativa con il reportage”).
Nick Hunt è un viaggiatore appassionato e ha attraversato, e scritto, di molti paesi europei partendo da Bristol. E’ columnist del Guardian e dell’Economist. È tra i fondatori del Dark Mountain Project. Il suo primo libro “Walking the Woods and the Water” è stato finalista al Premio Stanford Dolman Travel Book of the Year.
Il suo reportage ventoso passa per incontri. D’altronde chi meglio di un protagonista o antagonista del vento. Questa non è furia non ancora quando arriva davvero se ne accorgerà, gli dice Erika una donna dagli occhi luminosi che incontra in viaggio.
Ma ogni incontro non finisce in sé. Muove ulteriori riflessioni: “Non potevo fare a meno di pensare a quei migranti dal sud che gli xenofobi considerano parassiti senza alcuna voglia di lavorare oppure terroristi e stupratori. Al culmine della crisi dei rifugiati che altrimenti stava la rinascita dell’estrema destra in tutta Europa era forse una sorta di razzismo climatico?”
Esiste un razzismo climatico? Forse sì.
Di certo bisogna mettersi in ascolto sperando serva: “Cosa mi disse la bora su quel pendio montuoso ghiacciato? Non riuscii a leggere le sue parole. Era una lingua troppo vasta”. E si chiude tentativo di ascolto e di racconto. Ma non con un pugno di mosche né con una folata di vento. Con una risposta di immensità.