Il Rione Monti: l’attuale volto dell’antica Suburra. Ce lo racconta Annarita Curcio.
“A Roma bisogna cercare tutte le cose con una certa flemma […] È a Roma, secondo me, la grande scuola di tutto il mondo; anche io sono stato illuminato e provato”
Da una lettera di Winckelmann al Franke, in Viaggio in Italia, J. W. Goethe
È di qualche tempo fa la notizia tutt’altro che lusinghiera, e immediatamente rimbalzata agli onori della cronaca, secondo cui la qualità della vita nella Capitale del Belpaese sia sensibilmente peggiorata.
A rivelarlo, un’indagine compiuta da ItaliaOggi in collaborazione con l’Università La Sapienza. Ebbene, Roma si attesta all’85° posizione, distante anni luce da città più virtuose come Bolzano, Trento e Belluno. Le responsabilità, tante, sono a carico delle amministrazioni che si sono avvicendate in questi anni.
E coloro che vi abitano, d’altronde, non potranno che confermare i dati poco rassicuranti emersi dallo studio: dai trasporti alla raccolta dei rifiuti, dalla pulizia delle strade al verde pubblico, e poi i venditori abusivi, le strisce pedonali mancanti, e man mano che ci si allontana dal Centro sterpaglie ovunque, per non parlare delle famigerate buche di un manto stradale in uno stato a dir poco vergognoso.
Insomma, se ai romani venisse chiesto di raccogliere le proprie lamentele da presentare al Campidoglio, i cahiers de doléances sarebbero ben più lunghi di quelli della Francia prerivoluzionaria.
E nemmeno la notizia dello sgombero di otto villette abusive del clan dei Casamonica al Quadraro, a ridosso dell’Acquedotto Felice in una zona sottoposta a vincoli di tipo archeologico e paesaggistico, ha sollevato il morale dei cittadini, né ha avuto la meglio su una notizia altrettanto clamorosa, ma di segno opposto, ovvero gli atleti che hanno protestato, durante l’ultima tappa del Giro d’Italia, per quelle buche cui si accennava poco sopra.
Così, la città “amica dello sport e della mobilità dolce” è stata bocciata senza appello dai ciclisti e dagli ufficiali di gara. Ma non è solo la politica ad avere le sue colpe, anche i cittadini sono responsabili di incuria e negligenza: il malcostume dei parcheggi in doppia fila, e i marciapiedi lerci, perché la gente butta di tutto, sigarette, scontrini, e persino rifiuti ingombranti, frigoriferi, lavatrici, materassi, abbandonati per strada, vicino ai cassonetti dell’umido.
Il Centro Storico, poi, è un susseguirsi di bar e ristoranti; i tavolini sono dovunque, e la loro ossessiva presenza ha obliterato le simmetrie del classicismo rinascimentale come pure il virtuosismo del Barocco.
Non stupisce allora che il Codacons sia arrivato a chiedere all’Unesco di ritirare il riconoscimento di “Patrimonio Mondiale dell’Umanità”, dopo che un lungo reportage dal titolo Roma in Rovina, del corrispondente americano Jason Horowitz, è apparso sul New York Times. Che piaccia o meno, Roma è una città in declino, inospitale, poco affabile e arrabbiata.
Ma per chi non voglia rinunciare a contemplare la Bellezza, di cui essa rimane pur sempre generosa offerente, consiglio non solo la visita ai suoi monumenti eterni, sui quali sono state scritte parole memorabili lasciateci in eredità, come testamento spirituale, da poeti e scrittori del passato – Keats e Goethe, tanto per citarne alcuni – ma anche di passeggiare per luoghi che regaleranno, ne sono certa, un’esperienza di stupore.
Tra questi, uno è il Rione Monti. Difeso fieramente dai suoi residenti, questo quartiere, a due passi dal Colosseo e i Fori imperiali, resiste pervicacemente al caos altrove dominante. Qui, tra le sue tipiche stradine strette e tortuose, in perenne pendenza a causa del terreno collinare, è facile ritrovare un po’ di ottimismo.
Situato nell’ampia e bassa valle a nord-est del Foro Romano, esso era il quartiere più popolare di Roma antica: la suburra, dal latino suburbium, ovvero al di fuori dall’urbs, era, infatti, un dedalo di viuzze malfamate, gremite di botteghe, mercati, bettole e insulae.
Nella zona vivevano famiglie plebee, mimi, cortigiane e gladiatori, e stando alle maldicenze della storiografia antica, i suoi vicoli furono frequentati anche da personaggi come Nerone e Messalina, che in incognito uscivano nottetempo dai palazzi imperiali in cerca di avventure amorose.
Nel corso dei secoli, nonostante i numerosi mutamenti voluti dai Papi del Rinascimento e più tardi dai politici di Roma Capitale, il Rione ha conservato, come una sorta di isola estranea al flusso della storia, il proprio assetto urbanistico e mantenuto intatta la sua anima schiettamente popolare.
Caratteristica, quest’ultima, che continua a mantenere, benché sia stata, negli ultimi decenni, oggetto di una radicale metamorfosi e gentrificazione.
Oggi il quartiere è famoso per i suoi locali, i suoi negozi di tendenza, per le iniziative e le istituzioni culturali che ospita, come università e gallerie d’arte.
La zona è molto ambita e attira artigiani e creativi, ma anche un numero sempre maggiore di turisti che, mentre si rilassano nei ristorantini e nei pub, possono interagire con gli abitanti e sentirsi, così, a casa loro.
Dovendo scegliere un itinerario che restituisca la bellezza e varietà del Rione, non userò una piantina, ma una “mappa interiore”, soggettiva.
Tralascerò deliberatamente il suo patrimonio storico-artistico – che annovera il palazzo del Grillo, nel quale ebbe il suo studio il pittore Renato Guttuso, la Chiesa della Madonna dei Monti, e quella dei santi Sergio e Bacco, oggi sede della Chiesa Nazionale Ucraina, prospiciente la piazzetta di Madonna dei Monti che, con la sua caratteristica Fontana dei Catecumeni, disegnata dall’architetto Giacomo della Porta, è il principale luogo di ritrovo sia degli abitanti, che dei turisti.
Santa Pudenziana, che ospita nel catino absidale il più antico mosaico tra quelli che decorano le basiliche di Roma – per prediligere piuttosto un percorso umano, culturale, alla ricerca, quindi, di luoghi e persone con le quali poter scoprire il Rione.
La prima “guida” in cui mi imbatto è Stefano Antonelli, presidente dell’Ass. Culturale delle Arti e Mestieri del Rione Monti.
Stefano è proprietario di una ditta storica situata in via della Madonna dei Monti dove dal 1962 realizza, in materiale plastico, plexiglass, estruso e forex, mensole, teche, tavolini e supporti per allestimenti museali.
L’Associazione, che oggi conta oltre 100 iscritti, tra residenti, commercianti e artigiani, nasce con l’intenzione di: “salvaguardare, promuovere e tramandare l’artigianato”, quegli antichi mestieri che il moltiplicarsi di outlet, catene e centri commerciali rischia di far sparire.
Sviluppare una rete territoriale tra microimprese e ditte individuali diventa perciò necessaria per scongiurare una deriva preoccupante, e per impedire alle amministrazioni locali di compiere ulteriori scempi.
L’ultima battaglia dell’Associazione è quella di impedire la pedonalizzazione che finirebbe col compromettere la mobilità nel quartiere, mettendo così in ginocchio il suo tessuto commerciale.
Sulla stessa lunghezza d’onda di Stefano, sono Pierandrea Priolo, fotografo e produttore che a Monti ha scelto di vivere dal 2005, e la fotografa Marcella Persichetti. Entrambi gestiscono uno studio fotografico, Makemake, sito al civico 121 di via del Boschetto.
Pierandrea non nasconde una certa nostalgia per un Rione che ha visto cambiare di anno in anno: “il prezzo degli affitti”, dice, “salito alle stelle, ha costretto numerosi storici artigiani e commercianti a chiudere”, cedendo il passo a ristoranti e bar, ammiccanti al credo della globalizzazione più che ai dettami della tradizione nel rispetto dell’identità del luogo.
Makemake nasce proprio per impedire che le vie del Rione trabocchino di soli turisti che entrano ed escono dai locali, un po’ come accade a Trastevere, e per essere un centro di divulgazione della cultura fotografica e delle arti visive più in genere. Lascio il loro spazio per avviarmi verso via Urbana, volgendo le spalle a via del Boschetto, ma non prima di esser passata per via Leonina, dove al civico 28 si trova, dal 2012, il laboratorio di Alessandro Valentini, l’ultimo rappresentante di una famiglia di bronzisti, specializzato proprio nel restauro e nella riproduzione di oggetti in bronzo e ottone in bilico tra l’antico dell’Europa settecentesca e il nuovo del design contemporaneo internazionale.
Al numero 41 si trova il Grand Hotel Palatino nella cui sala conferenze si tiene, da settembre a giugno, ogni sabato e domenica il MercatoMonti, un appuntamento imperdibile per i fashionisti di ogni latitudine e per chiunque voglia scovare designer, artigiani, stilisti e inventori alla ricerca del “fatto a mano”, del pezzo unico e della tiratura limitata.
Proseguendo, giungo allo slargo di piazza della Suburra, contesto completamente alterato dalla presenza della metropolitana e di edifici contemporanei, quindi prendo via Urbana – il toponimo attuale deriva dall’ultima sistemazione voluta da Urbano VIII in occasione del Giubileo del 1625 – e sulla destra incontro, al civico 49, una delle sedi della scuola di musica Saint Louis, una piccola eccellenza, che da oltre quaranta anni forma musicisti, tecnici del suono, compositori e cantanti di Jazz, Popular Music e Musica Elettronica.
Artisti di tutto il mondo, fra cui Pat Metheny, Enrico Pieranunzi, Dizzy Gillespie, Jack De Johnette, Danilo Rea, Enrico Rava e molti altri, hanno contributo con incontri e seminari alla sua ottima reputazione. Poco più avanti, in via Urbana 27, si incontra lo Studiosilice, dove Anna Preziosi si dedica dal 2001 alla lavorazione artistica del vetro e al restauro di vetrate antiche, ad esempio quelle della Chiesa di San Silvestro dell’Aquila e del Palazzo dell’Aeronautica. Lo spazio ospita sia lo showroom che il laboratorio. Anna non ha la fornace, quindi parte dalla lastra di vetro per realizzare con diverse tecniche (vetrata piombata, vetro fusione) meravigliose lampade, oggetti per la tavola e vetrate, e conta tra i suoi numerosi committenti hotel di lusso, come l’Hassler, il St. Regis, il Four Season di Budapest, The Lanesborough Hotel di Londra. Uscita da questo meraviglioso laboratorio artigiano, proseguo su via Urbana, e inoltrandomi sull’altura del Viminale, tra edifici perlopiù settecenteschi, al civico 21 scopro un laboratorio di candele artigianali, realizzate da Andrea, brasiliana, ma in Italia dal 1990, attraverso l’utilizzo di antiche tecniche di lavorazione con oli essenziali naturali.
Candle Store ospita anche le koke di Cinthia Fiaschi, ovvero delle bellissime piante create secondo un metodo di coltivazione nato in Giappone nel 1600. Koke, che è un apocope della parola kokedama, che in giapponese significa “palla di muschio” o “perla di muschio”, non è, infatti, altro che un piccolo bonsai dove al posto del vaso troviamo una palla di fango rivestita di muschio e che si può collocare su un vassoio, dentro una ciotola o appendere.
Si giunge così all’incrocio di via Urbana con via Panisperna. Nei secoli passati, la locale chiesa di San Lorenzo, nel giorno dedicato a questo santo, era solita offrire ai poveri pane e prosciutto (in latino: panis et perna), da cui è originato il toponimo della via, il cui tracciato a saliscendi segue il profilo dei monti del Rione ed è, oggi, un susseguirsi di locali, negozi di antiquariato, abbigliamento sartoriale e gallerie.
Proseguendo su via del Boschetto, che conserva nel nome la memoria degli olmi che nel Medioevo caratterizzavano la zona, si incontra al civico 1/d l’atelier della stilista Tina Sondergaard. In un ambiente su due livelli raccolto ed elegante, Tina, danese e a Roma da 15 anni, disegna, cuce ed espone la sua collezione di abiti femminili, utilizzando rigorosamente tessuti italiani, quali cotone, lino, seta, lana e viscosa e ispirandosi al fascino della moda anni ’50, ’60 e ’70. Il suo “cavallo di battaglia” è un abito a righe orizzontali con un corpino ben definito, dalle linee gonfie sui fianchi e verso il basso. È la linea a corolla tipica degli anni ’50 per una donna bon ton, romantica e raffinata. A completare la mise, su consiglio di Tina, un cappello a falda larga e ai piedi, a seconda dell’occasione, le ballerine o il décolleté.
Per chi sia, invece, alla ricerca di studi di architettura, arredamento e design, il Rione ha un’offerta tra le più invidiabili: da Boschetto 3 all’Atelier Monti, da Officine Adda a Spazio Monti, a Plurale e non finisce qui; pertanto una visita al Rione è d’obbligo per chiunque voglia cambiare o ristrutturare casa.
Volgendo le spalle a via del Boschetto, mi dirigo verso via dell’Angeletto, ove incontro Virginia Meliadò che ci dà il benvenuto nel suo laboratorio, L’Angelus Antichità.
Virginia si dedica da oltre venti anni alla conservazione e restauro di dipinti su qualsiasi supporto (ad eccezione della ceramica), al restauro lapideo (marmo, mosaico, gessi) e alla decorazione d’interni.
Fra i suoi innumerevoli lavori, vale la pena menzionare il restauro dell’affresco SS. Quirico e Giuditta della Scuola di Taddeo Zuccari (XVI sec.), posto nella Chiesa di San Quirico, delle tempere su muro della Casina delle Civette dell’artista Giuseppe Capranese, e degli affreschi della loggia e delle stanze interne della Casina del Cardinal Bessarione.
Lasciata Virginia, a reclamare il tributo dell’attenzione è il laboratorio di mosaico minuto di Luigina Rech. Qui si ha proprio l’impressione di fare un tuffo nel passato. Mostrandomi alcune delle sue opere, Luigina, con generosa affabilità, mi racconta delle numerose tecniche antiche di cui negli anni si è impossessata: l’affresco, l’encausto, la tempera all’uovo, la crisografia – diffusasi soprattutto nel mondo romano e relativa alla produzione di piccoli oggetti con pitture in miniatura utilizzanti anche tracce d’oro, su gemme o su paste vitree, e di cui oggi rimangono pochissimi esemplari, come il ritratto romano, secoli III-IV, presso il Museo Archeologico Nazionale di Arezzo – e, non ultimo, il micromosaico a smalti filati, tecnica sviluppatasi a Roma nel 1700, che l’artista ha appreso nella bottega di Vincenzo Renzi, Maestro Mosaicista dello Studio Vaticano, divenendone la naturale erede.
Le chiedo se svolge un’attività didattica, se ha degli allievi cui tramandare le sue conoscenze. La risposta è purtroppo negativa. “ I giovani”, mi dice, “non entrano nel mio laboratorio, non sono curiosi”.
Ultima tappa del mio vagabondare è in via dei Serpenti, dove al civico 25 ha aperto da poco una galleria, nonché associazione culturale, Marte. Arte in Monti, dell’artista Fabrizio Di Nardo che per anni ha avuto il suo studio in questa medesima via. La galleria espone le sue opere, dipinti astratti in bilico tra “la bidimensionalità pittorica e la plasticità scultorea”.
Fabrizio, che è una “memoria vivente” del Rione, è stato uno dei più attivi fautori di Mad. Monti Arte, Artigianato e Design, un evento dedicato al design, all’arte e all’artigianato, che dal 7 al 10 giugno 2018 ha animato le vie del Rione con un fitto programma di performance artistiche, conferenze, mostre, workshop e tour. Quando esco dalla galleria di Stefano, sta calando il Sole, mi incammino in silenzio nell’aria frizzante di una giornata di fine febbraio, in lontananza scorgo il Colosseo, allora mi tornano in mente le parole di Goethe: “Per scrivere e descrivere [Roma] ci vorrebbero mille matite, mille bulini. Che può fare una penna? E la sera si è stanchi dal troppo vedere ed ammirare. […]”.