Essere nella testa di un giapponese è forse difficile tanto per un italiano quanto per un giapponese. Ma non ho prove scientifiche in merito. Ed è una considerazione davvero sommaria e particolare se è vero che questa mattina a fotografare il Vittoriano ho visto una schiera talmente multietnica da far ingrigire qualsiasi facile schematismo. “Questo grande ed enorme pisciatoio di lusso” (per dirla con il caustico Papini), la dentiera, la macchina da scrivere ha sempre conquistato, senza doversi dare troppo da fare, epiteti denigratori di acrobatica fantasia. Eppure il bagliore che lancia in piazza Venezia è uno dei più scattati.
Sarà una questione storica? Una punta di malinconico “Si stava meglio quando si stava peggio”?
Le file per vederlo e per scalarlo non hanno solo il profilo alto della burocrazia che lo omaggia annualmente di corone d’alloro, fanfare e saluti militari ma quello di un gregge meno patriottico. I 243 gradini hanno la faccia evergreen che neppure la Scala Santa a San Giovanni.
Il progetto dell’architetto marchigiano Sacconi dedicato a Vittorio Emanuele II non finisce per impressionare, abbacinare, convincere alla salita o al semplice scatto solo gli occhi a mandorla dal clic facile. Piace agli italiani (più Sud? più Nord? sarei curioso di sapere le statistiche!), affascina il turista che cerca forse a Roma tracce di fasti più recenti dopo una sbornia di rovine e basiliche. Forse è anche la posizione che lo avvantaggia. Forse è la maestosità rara e irripetuta nei secoli a noi più prossimi che fa dell’Altare della Patria il centro di un pensiero-fulcro dell’Urbe.