Ipermercato, iperluogo. “Guarda le luci, amore mio” di Annie Ernaux, un diario sugli ipermercati finito in una collana della Seuil – ora uscito per L’Orma – che contiene racconti di vita.
“Compriamo cose, ma ci servono davvero?” Cantava Fabri Fibra. Mi vengono in mente queste parole mentre leggo “Guarda le luci, amore mio” il libro di Annie Ernaux che esce in italiano. Stesso editore, stesso traduttore: L’Orma di Roma e il bravo Lorenzo Flabbi. Si tratta di un diario scarno ma dritto sugli ipermercati finito in una collana della Seuil che contiene racconti di vita.
Il rapper marchigiano invitava in un altro brano a diffidare dalle persone con più di trent’anni, una frase che nella versione contraria è stata attribuita a John Lennon e prima ancora è data per sicura paternità a Jerry Rubin e alla controcultura statunitense che invitava a diffidare invece degli adulti.
La Annie Ernaux, che quella soglia ha superato, merita tutta l’autorità del caso secondo la versione della controcontrocultura del rapper nostrano. Prima di fissare soglie dirimenti bisognerà fissare le regole della fiducia.
Per la Ernaux in favore della fiducia parlano una scarnificante forza chirurgica d’analisi e una facilità di scrittura che rendono le sue pagine intense ma sobrie e perciò affidabili, appunto. Hanno il dono dell’osservazione e della rivelazione dei dettagli. Minuzie che qualificano la visione e fanno in modo di non risultare perciò inessenziali.
Va dato atto che nel ‘900 la letteratura francese – poesia saggistica racconto -, ci ha abituati a un confronto coraggioso con la realtà, il progresso, la modernità. Buttiamo lì qualche nome a caso: Barthes, Ponge, Perec, Walter Benjamin (che d’accordo francese non era ma ha scritto molto da lì e per lì) e poi Carrere e Houellebecq e l’Augé dei non luoghi qui in qualche modo sottotraccia.
“L’essenziale resta per me invisibile” scrive come una metafora e un filo della sua scrittura la Ernaux come una dichiarazione onesta di lotta col mistero che muove il suo racconto che spesso oscilla tra il memoir personale e civile (e che trova la summa ne “Gli anni”).
E continua “Qui, più che in qualunque altro posto, vivo la difficoltà di cogliere e determinare l’istante il significato di tutto ciò che mi succede davanti agli occhi mentre cammino”. Il tempo sembra passare tra le corsie dell’ipermercato sempre uguale a se stesso ma Natale è “una cattedrale sfavillante” con tutta la sua stagionalità consumeristica.
Con il ritmo delle feste ecco arrivare le uova di Pasqua a profusione e ovviamente sempre anticipate sui tempi e la scrittrice appunta “la grande distribuzione non si scorda di niente. È probabile che in magazzino ci siano già i regali per la festa della mamma e pile di scatoloni pieni di costume da bagno”.
Alla Ernaux non sfuggono i rapporti di forza capitalistici, le famiglie poi diventate famiglie di marchi che determinano la capillarità totalizzante dei marchi stessi. Determinanti sono dal lato nostro – di noi consumatori -, la fidelizzazione e i rapporti di forza emotiva che fanno trionfare il super consumo mosso dalla ricerca d’affetto, ad esempio, da parte dei nonni nei confronti delle nipotine e dei nipotini.
Il consumo e poi la obsolescenza dei giocattoli per le bambine e i bambini segue il destino delle offerte e dell’outlet. Così la suddivisione dei giocattoli per genere con l’invito alle donne a occuparsi solo della casa già in forma “balocco”, come le premesse o i prodromi di una futura ghettizzazione di ruolo domestico.
Interessante è anche la tipizzazione del cliente, il consumatore normale – come descritto dall’cuta osservazione della Ernaux – individuato da una sempre più rigida selezione all’entrata o forse anche in ragione di un’autoesclusione che rende la tipologia della clientela frequentatrice omogenea (forse, pensiamo noi, l’altra clientela è tipizzata dal discount?).
La scrittrice francese cerca di andare dietro ad alcuni paradigmi della tecnologia applicata al supermercato, come, per esempio, quello della cassa automatica e self e dice “questo genere di dispositivi spinge all’indifferenza morale. Davanti a una macchina non si sa nemmeno l’impressione di rubare” e si capisce quanto in realtà la modernità abbia finito per annullare o modificare anche le condizioni morali partendo dal touch e dal beep o da voci preregistrate.
Corrisponde e fa il coro con la falsa customerizzazione che trasforma il cliente reale in un cliente finale. Tipizzato e alla fine reso irreale e impoverito nella venerazione dei virgola99centesimi, imbarbarito dalla caccia all’offerta migliore. Dal lato di chi lavora si scopre quanto il far parte di un’organizzazione-ingranaggio renda i dipendenti sempre più responsabilizzati e freddi, chiusi nel loro giro di rotella e assolutamente staccati dalla visione completa delle altre persone, del mondo reale.
Suona quasi ridicolo ma anche angosciosamente profetico il claim di uno di questi marchi di ipermercato – “la vita, quella vera” – che finisce per essere un attestazione di qualità del libro stesso e non casualmente coincide con la Ernaux e con – scrive lei – “il mandato della mia scrittura: dare alle persone qui, in questo diario, lo stesso spazio che occupano nella vita dell’ipermercato”.
S’interrompe il diario e, consequenzialmente, si interrompe l’osservazione e così in qualche modo si interrompe anche forse la vita: quella dell’permercato e “quella vera” “perché vedere per scrivere è vedere altrimenti. È distinguere oggetti, individui, meccanismi e conferire loro valore di esistenza”.
Torniamo a casa dall’ipermercato e usciamo dalle corsie della Ernaux ma non senza un brivido di paura. Legittima, fredda, logica ma non per questo meno dolorosa o urticante e senza poterci girare all’altra parte.
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