Oggi fa Trenta. Trenta gli anni dalla morte di Italo Calvino. Ci siamo permessi di ricordarcene e ricordarlo. Buona lettura.
Autore: roberto carvelli
Founder e direttore di "Perdersi a Roma" collabora con Il Messaggero, il Venerdì e Nuova Ecologia. Ha pubblicato libri di prose, poesie e narrativa di viaggio tra cui "Letti" (Voland), "AmoRomaPerché" (Electa-Mondadori), "La gioia del vagare senza meta" (Ediciclo), "Fùcino" (Il Sirente), "Il mondo nuovo" (Mimesis), "Andare per Saline" (Il Mulino) e "I segni sull'acqua" (D editore).
Calvino sulla Colonna
Immaginatevi Italo Calvino con Salvatore Settis in cima alle impalcature della Colonna di Traiano allora in restauro. Lo scrittore non può non cedere alla tentazione di scorrere le gesta dell’imperatore – rappresentato per sessanta volte – come un lungo infinito fumetto. Una specie di nastro che scorre e dipana le vicende dell’imperatore, a strisce. Era il 1981. Era un articolo per “la Repubblica” (ma io lo rileggo in quel piccolo compendio di colte curiosità raccontate con arte semplice che è “Collezione di sabbia”).
Io, Termini
Io, quando partivo, anni fa, da qui partivo. E quando arrivavo qui arrivavo. La misura di ogni andare e tornare questa era. Una figura geometrica. Una cornice. Un bordo bold che incorniciava una vita.
La Stazione Termini si annunciava in una mostra di tableaux vivants. Una carrellata di facce, un mazzo di carte – tarocchi che predivano il passato – dal dimesso al distinto saltando povertà e disagi. Che non ero abituato a vedere. Che non erano abituati a mostrarsi.
Affinché quel pacchetto avesse regolarità c’era bisogno di una cornice e la cornice era la panchina. Tutto intorno alla quale pendevano i carrelli dei facchini in una livrea semplice. I pacchi legati con lo spago. Le valigie senza stilisti e le colazioni da viaggio. Solo allora e solo così andavi. E tornavi.
Pensieri scritti sotto la neve. Un omaggio a Villa Borghese e a Wislawa Szymborska scritto nel giorno della sua morte.
Voglio porre una questione spaziale o, meglio, di consumeristica (talvolta dà un sottile piacere decontestualizzare parole – un po’ brutte, diciamolo! – che sono talmente invalse nell’uso da costringerci a pensare che possano avere un significato al di fuori del loro campo semantico specialistico): sono rimasti pochi cinema con la galleria.
“Là dove c’era l’erba ora c’è una città” sempre lì dove c’era “gente tranquilla che lavorava”. Non siamo nella via Gluck di Celentano (arcinoto brano scritto dal Molleggiato con Miki Del Prete e Luciano Beretta del Clan nel 1966, antesignano dell’ecologia italica) ma nella attuale (borgata) Cinquina.