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La fuga di Babbo Natale dalla Stazione Termini

La fuga di Babbo Natale dalla Stazione Termini. Così dovremmo concludere questo scorcio d’anno, la fine dei biglietti di auguri e forse anche l’interruzione di molte determinazioni lì graffate.





La fuga del Natale dal tempio del pendolarismo vessato dalla discesa confusa e provvisoria verso la metro A e B.
Dall’attesa di chi arriva e dall’angoscia di chi va. Un partire che è insieme un andare e un restare: una piccola forma di coraggio. L’anticipo di un ritornare. Un Buon Natale ormai ex post che rivolgiamo usando parole nostre e qualche parola d’altri. Parole scritte con carta rimediata, foglietti strappati ai taccuini, fazzoletti, tovagliolini del bar, scontrini fiscali. Sono tempi grami. Economicamente parlando. Manovre e manovrine. Tasse e aumenti di prezzi. Sotto l’albero quest’anno abbiamo tante cose in più e non tutte ben auguranti. Farsi compagnia sotto quest’albero alla fine di un anno vissuto pericolosamente sembra più doloroso di altri anni. Negli ultimi tempi ci è viaggiato al fianco il senso di un rischio imminente che neppure equilibrismi e acrobazie politico-economiche hanno contribuito ad alleviare. Sotto l’albero mettiamo parole come recessione, disoccupazione, crisi (anche la parola ripresa per avere una sua verità deve essere finita in -ina: ripresina). E temiamo che non ci darà più leggerezza buttarle dalla finestra come vecchie cose di cui vogliamo disfarci.

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E qui, nel luogo di un treno e via, non credo che una fuga ci sia più gentile. Anche io come tutti voi mi aspetto il meglio da questo anno. Io come voi – molti di voi – ho poca responsabilità di questa situazione. Non ho creato società offshore, non ho licenziato, non ho fatto investimenti sbagliati, né ho nascosto capitali, comprato ville in giro per il mondo, organizzato bunga bunga, non ho evaso le tasse, preso mazzette, frodato lo stato, corretto conti, accantonato partite. Nel mio piccolo, anche quest’anno, ho evitato di essere seduttivo o stupidamente compiacente con i capi e, a turno, coi colleghi (pur avendo riconosciuto nei percorsi di carriera delle colleghe e dei colleghi, nonché dei capi, quanto possa portare buoni frutti).

Ho cercato di lavorare bene, con scrupolo (anche quando un po’ di leggerezza mi sarebbe stata più “leggera”). Fare buon viso a cattivo gioco continua a sembrarmi una parte da non interpretare ma, ad essere sincero, ho visto attori mediocri conquistare il palcoscenico così. Vorrei come il piccolo Giorgio di 7 anni poter pensare che andare allo squalo parco mi possa far dimenticare quello che ho attorno, che passare due ore davanti alla nintendo 3D mi possa regalare dimensioni nuove, più felici. Né come Giò e Tru posso illudermi che passare l’esame della Ferrante mi allunghi la speranza.
Che dire poi dell’amore? Quello che si augurano Ade e Silvia? Due fighi a testa invece di due coglio/ni? “Far sparire per un giorno tutta la popolazione, tranne noi, e lascia tutti i negozi aperti”? O (ecco il PS) almeno 2.000€? O il più disperato Augusto che disegna una mano rossa, scrive il suo cellulare e annuncia: “Ciao sono un ragazzo e cerco una ragazza per starci insieme come fidanzato se mi vuoi. Incontriamoci e conosciamoci”: basterà tanta ingenua prodigalità? E, per tornare ai soldi, quel “po’” che chiedono Rebecca e Cristiana (anche se invitano Babbo Natale: “puoi anche esagerare”) arriverà?

Anche il koala e il canguro che “vogliono una tana piena zeppa di soldi”: gli basterà scriverlo? Forse non mi acquieterebbe se Irene leccasse un gatto come si augura Paola. Anche se Irene fosse la mia peggior nemica o la collega più doppiogiochista. Né “quest’anno il vigile Pierluigi portalo a qualcun’altro” come chiede Angelo temo che mi pacificherebbe il Natale di multe e soldi che mi sono stati prelevati nei modi più o meno onesti, guitti. Piuttosto mi viene da intristirmi con questa coppia di genitori separati dalla crisi e ridotti in due case-famiglia, in una lei con i due figli, nell’altra lui e la speranza di riunire la famiglia, lui che continua a credere nei miracoli e si aspetta di passare un Buon Natale. Sono qui che leggo tutti questi messaggi che da alcuni anni è invalso appendere all’albero della stazione. Un tam tam tipo lucchetti a Ponte Milvio che ha creato il circuito della ripetizione e dell’imitazione.

Li leggo e penso a quanto vivere per alcuni è gravoso di speranze e di attese e mi ripeto le parole della poetessa Marina Cvetaeva: “Sono felice di vivere in modo semplice ed esemplare -/ come il sole, come il pendolo, come il calendario./ D’essere un’anacoreta laica di snella figura,/ savissima – come qualsiasi creatura di Dio./ Di sapere: lo Spirito è mio alleato, lo Spirito è mia guida!/ D’entrare senza annunciarmi, come un raggio e come uno sguardo./ Di vivere come scrivo: in modo semplice e succinto -/ come Dio comanda e come gli amici non prescrivono”.

PS A voi che sembra sempre più claustrofobica questa stazione – anche forse in ragione dell’angoscia natalizia e delle richieste a Babbo Natale – vi farà aria rivedere le immagini della sua inaugurazione. Quando tutto sembrava immenso. Tutto ipermoderno. Tutto trionfale.

Da fare
Un panino con la porchetta a Er Buchetto – via del Viminale 2 F.
Una visita al Museo nazionale romano di palazzo Massimo –  Largo di Villa Peretti, 1.

Di roberto carvelli

Founder e direttore di "Perdersi a Roma" collabora con Il Messaggero, il Venerdì e Nuova Ecologia. Ha pubblicato libri di prose, poesie e narrativa di viaggio tra cui "Letti" (Voland), "AmoRomaPerché" (Electa-Mondadori), "La gioia del vagare senza meta" (Ediciclo), "Fùcino" (Il Sirente), "Il mondo nuovo" (Mimesis), "Andare per Saline" (Il Mulino) e "I segni sull'acqua" (D editore).