Immaginatevi Italo Calvino con Salvatore Settis in cima alle impalcature della Colonna di Traiano allora in restauro. Lo scrittore non può non cedere alla tentazione di scorrere le gesta dell’imperatore – rappresentato per sessanta volte – come un lungo infinito fumetto. Una specie di nastro che scorre e dipana le vicende dell’imperatore, a strisce. Era il 1981. Era un articolo per “la Repubblica” (ma io lo rileggo in quel piccolo compendio di colte curiosità raccontate con arte semplice che è “Collezione di sabbia”).
Ebbene ecco Traiano che ci viene trasmesso da Calvino come un trionfale protagonista di questa storia. Un protagonismo che ha qualcosa di ultramoderno. Filmicamente (e Calvino ha in mente il cinema se chiama “regista” il disegnatore dello spiraliforme fregio) il Capo supremo vi viene rappresentato spesso sì (ecco il protagonismo, ecco il cartellone in cui svetta il titolare della lunga storia disegnata a bassorilievo) ma non è questa la misura del suo svettare, del suo imporsi nell’opera. Né, spiega Calvino, lo sono i paramenti. Ma proprio la posizione centrale. Quando vi viene raffigurato, infatti, il motivo della sua identificazione finisce per essere il ruolo che assume nella scena. Appunta lo scrittore: “egli si trova sempre nel punto in cui convergono gli sguardi degli altri personaggi, e le sue mani si alzano in gesti significativi” (e in questa frase ci viene di leggere una sorta di epifania di quello che l’opera rappresenta per Roma, un bagliore improvviso nella notte, un lampo verticale che ti ritrovi all’improvviso davanti, in un angolo).
Ecco la modernità dell’opera. Il re non comanda, sono gli altri che ne sono comandati. Il re non sembra disporre, sono gli altri che eseguono quello che lui fa o dice di fare. Persino un popolo che si sottomette, financo un condannato alla pena di morte. E diciamo che in questo c’è quel tot di moderno che fa dire ai siciliani che è meglio comandare che… O ad altri, in parole più aeree, che “non è necessario stravincere se puoi vincere”. D’altronde appena sotto la colonna ci viene ritrasmesso un CV di degno rispetto di Traiano “conquistatore in Germania e Dacia, Pontefice Massimo, investito della potestà tribunicia 17 volte, proclamato Imperatore 6 volte, eletto console 6 volte, Padre della Patria”. Un buon ruolino di marcia. La prima sequenza del lungo war film a spirale. Il primo segno hollywodiano: la stella che brilla di più è quella più illuminata e 60 (o qualcuno dice 59) volte bastano per proiettare luce sul futuro di un buon protagonista. Anche della storia. Una storia che inizia e finisce sotto questa colonna dove viene utilizzato uno spazio per la sepoltura del divo e della moglie Plotina. Fine.
Un passo indietro. La Colonna Traiana è la prima colonna coclide – ovvero con scala a chiocciola interna (185 gradini) – di sempre. Inaugurata nel 113 per festeggiare la vittoria di Traiano su i Daci doveva essere ed è la tomba dello stesso imperatore – vanta tante imitazioni da Parigi a Baltimora. Misura cento piedi romani ed è perciò classificata nel cosiddetto genere “centenario”. Ognuno dei blocchi sovrapposti misurava 40 tonnellate e fu necessario un vero e proprio cantiere “moderno” per realizzare l’opera. Il cosiddetto “Maestro delle Imprese di Traiano” che la portò a rilievo si ispirò ad un sano realismo. Attestato pure da raffigurazioni arboree molto ben riuscite. E, sappiate, che per ognuna delle cose che diciamo c’è tanta di quella letteratura da scusare la nostra sommarietà.
Dal punto di vista del “ahi bei tempi andati!” ha ragione Calvino a ripensare ai colori dei fregi perduti. C’erano eccome. E sono andati persi. Persa la statua dell’imperatore in sommità (sostituita nel 1588 da un bronzeo san Pietro papa – non raro caso di filiazioni romano-cristiane). Persa anche tanta terra sbancata per l’occasione, come riportato nell’iscrizione dedicatoria. Persa anche la medievale chiesetta sottostante (San Niccolò de Columna) nella metà del ‘500 in occasione della visita di Carlo V. Perse tante altre cose intorno. E sintomatico che la sola colonna abbia avuto la ventura di permanere. Nonostante le varie volute e non volute distruzioni accadute nel tempo giusto intorno.
In ultimo che dire: mi dispiace molti non romani non possano non vederla ma c’è un modo un po’ virtuale che magari accontenta anche molti non fortunati osservatori alla Calvino come noi.
Questo.
Da fare
Mangiare a Terre e Domus – Enoteca della Provincia di Roma – Foro Traiano, 82-84 tel. 06 69940273