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Anna Frank & Lia Levi

Due ritratti visivo-scritti estrapolati da “La storia di Anna Frank raccontata da Lia Levi” (Gallucci), illustrato da Barbara Vagnozzi.

Due ritratti visivo-scritti estrapolati da “La storia di Anna Frank raccontata da Lia Levi” (Gallucci), illustrato da Barbara Vagnozzi.

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Stare a Po

Il Po viaggia al fianco sempre nel bel lavoro (“Un paese”) – ora riedito in una bella edizione da Einaudi – del grande fotografo Paul Strand e l’inclassificabile genio letterario e visivo di Za(vattini) e dedicato al suo paese nativo, Luzzara.

© Paul Strand Archive/Aperture Foundation

“Molti si esprimono bene dalle mie parti, un luzzarese spiegava in dialetto qual è l’ora piú bella di Luzzara: sarebbe quando lui d’inverno viene fuori dal caldo – è impiegato in municipio – e il freddo gli dà un piacere che non riesce a spiegare, e corro a passetti brevi per dieci o quindici metri, dice, mentre si accendono i lampioni sopra la sua testa e saluto la gente che incontro con dei ciao secchi, allegri, come quando si scappa sotto i portici per un improvviso acquazzone”.

Così scrive Zavattini.
Raccontare un paese è cosa difficile se non ci vivi. Per questo quando il grande fotografo Paul Strand chiede a Zavattini di indicargli un luogo va a finire che dopo aver pensato a Sperlonga Formia o Gaeta sceglie proprio il suo di paese, Luzzara. Anche se ammette anche lì di non saperne più di tanto ma non solo perché non ci vive più. Non basta, dunque, esserci nati e neppure risiedervi.

Questo libro è un oltre-Luzzara e persino un oltre-Po. Un luogo di senso letterario e rappresentativo che nasce dalla doppia osservazione del fotografo e dello scrittore-sceneggiatore.

“Sta a Po” chi vive a Luzzara perchĂ© il fiume ha una sua forza espressiva multiforme che informa di sĂ© tutto quel che lo circonda. E chi gli vive al fianco finisce per andarci molto e… starci. Si dice stare, quindi. E si dice “stare a”, rafforzando fin quasi all’inchiodamento la propria presenza di fronte all’immagine sempre fluttuante del fiume.

© Paul Strand Archive/Aperture Foundation

Stare a Po significa anche saperne riconoscere i mulinelli che rischiano di rendere macabro e definitivo il bagno. Stare a Po significa decidere di bagnarsi in giugno quando il fiume fa le sue isole di sabbia. Lasciare la bicicletta nel bosco e tuffarsi. In un’atmosfera piĂą asciutta.

Stare a Po significa anche conoscere la viabilità del fiume, quella che incrocia l’aereo e il piano dell’acqua ad esempio, fatta di maggiori passaggi di volatili quando il fiume è grosso e le anatre di legno per il richiamo sono bianche di ghiaccio di quando è magro.

Il colore caffellatte della piena del fiume che tutto sommerge anche nel paese e poi Luzzara secca con il suono dei sandali di Zavattini che fanno risuonare tutto: il libro è una sinfonia di colori e suoni. Racconta un luogo attraverso una memoria di senso e sensi, anche il gusto (il fiore del trifoglio succhiato in dolcezza).

© Paul Strand Archive/Aperture Foundation

Ma c’è anche il latte vero, quello che conferisce ai consorzi del Parmigiano Reggiano e quello delle vitelline vendute da sotto le mammelle della madre.

I giorni scorrono da calendario e al 30 di ottobre, racconta Za, arriva il primo nebbione e “a Po non si vede piú niente, spunta solo in un modo inaspettato la punta di una di una barca preceduta dallo sciacquio del remo e un cacciatore magari con l’ombrello”.

© Paul Strand Archive/Aperture Foundation

Questo libro è la preziosa sintesi di due sguardi nitidi e meticolosi – quello dello scrittore-pedinatore Zavattini e del fotografo-nomenclatore Strand, il fotunato incontro di due naturali accesssi alla grazia del saper vedere e saper fissare nel ricordo quel che conta partendo da dati molto reali. Questo libro fissa facce che non ci saranno quasi piĂą e abitudini che magari hanno perso l’efficacia della persistenza.

ogni mese ha le sue incombenze precise. In gennaio si teme che la vite geli e si va a coprirla con la neve per proteggerla dal freddo; ma specialmente si riparano gli attrezzi, rastelli, badili, zappe, vanghe e si fanno scope dure, ce ne vogliono molte sia per la stalla che per l’aia. In febbraio c’è qualche volta da vegliare per i parti delle vaccine, si imbottiglia il vino quando cambia la luna, si vuotano i pozzi neri ed è allora che in piena notte si può sentire il muggito di un bue nel cuore del paese con il dondolante frastuono del carro sull’asfalto.

Il calendario della campagna e i suoi processi comandati procede e Zavattini ammette “ero affezionato alla campagna perchĂ© di razza sono sempre stato contadino, mezzadro o affittuario” e almanacca abitudini, convenzioni e superstizioni della vita agricola. Conta i morti (dalla precedente edizione del libro), quelli che in foto risultano nel frattempo ectoplasmi. Racconta gli altri paesi, tutti – come dice Zavattini -come sembrassero un unico paese, altra spiegazione del titolo che non è solo articolo indeterminato ma anche numero.

Alla fine, “essere dentro a questo vuoto di pianura che palpita all’unisono coi nostri polmoni” risulta essere un viaggio sentimentale nella propria vicenda e in quella dei compaesani a cui sogna di lasciare una pagina di autobiografia raccolta anche qui per numeri: un paese mille pagine di racconto di sĂ©.

Paul Strand è l’uomo della native land, uno che ha negli occhi l’osservazione dello “stare a” e lo dimostra in queste immagini che sembrano radicare i soggetti al posto in cui vengono ritratti. John Berger avrebbe detto che nella sua fotografia “l’approccio sociale alla realtĂ  potrebbe essere definito documentario o neorealista” o “Strand ha un occhio infallibile per l’essenziale”.

Anche Zavattini ha lo stesso sguardo e pure nel suo caso l’osservazione non è però mai istantanea ma ha la misura della biografia, della vita intera. Il racconto di Luzzara è il racconto di un universo in una strada e il Po è non un fiume ma un’epica. Un’epica talvolta eroica o magica che fa dire a uno dei protagonisti di questa indagine socialsentimentale “devo dire che quando c’è la piena nessuno scappa via, tutti stanno sull’argine a guardare fisso l’acqua come se la potessero fermare con gli occhi”. E sembra quasi una dichiarazione di poetica dei due autori Strand e Zavattini.


  

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Una Stella tutta per sé

Una donna va ad abitare in una casa e ne nasce un transfert. Il documentario “Alba Meloni. Stella nelle mie stanze” della regista Nadia Pizzuti è il racconto di un dialogo a distanza pur nella differenza.

La Pizzuti cerca nella sua casa le tracce della vecchia proprietaria – Alba Meloni, staffetta partigiana, che partecipò giovanissima alla Resistenza – ricomponendo i tasselli di un’identitĂ  perduta che mai come oggi ci parla, nelle scelte del coraggio e della differenza. Ed è la differenza il tema, come detto risalente del documentario. Nessuna facile e oleosa identificazione, nessun transfert genuflesso al mito lontano della lotta partigiana.

La combattente, nome di battaglia “Stella”, si presenta alla regista attraverso oggetti e libri rimasti nella casa. Una presenza vivida riverberata da registrazioni originali che ce ne restituiscono la voce e quella dei compagni e compagne di lotta, gli amici.

L’aria della abitazione, l’osservazione degli oggetti, i luoghi della vita, romana e testaccina, in particolare, compongono una lettera a un’Alba ormai scomparsa che passa per le immagini bellissime della casa e del quartiere, del Tevere che scorre inesorabile. Squarci di una romanitĂ  colta dalla bella fotografia della regista insieme a Lorenzo Pallini.

Un salto indietro ed ecco la Roma resistente tra Via Tasso e il bombardamento di San Lorenzo, l’orrore dell’occupazione e della guerra nella corale delle partigiane Luciana Romoli e Gianna Radiconcini che raccontano la Resistenza delle donne-staffetta, il loro ruolo delicato.

Poi il raconto di Alba-Stella nel dopoguerra quando diviene funzionaria nel Pci, lavorando nella redazione di Pattuglia, de L’Unità, Rinascita, Editori Riuniti, Noi donne e nell’Udi fino agli ultimi anni nel sindacato.

Un ruolo “di retrovia” ricostruito con l’aiuto dei compagni del Rione, come il senatore Emanuele Macaluso per non dimenticare la persona e ricordare alla fine del documentario come i luoghi preservino la memoria del tempo.




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Ennio De Concini

La vita in intervista di uno dei più grandi sceneggiatori del Novecento nel libro di Jonathan Giustini “Chi si firma è perduto. Ennio De Concini: Memorie di un fallito di successo” (Postfazioni di Roberto Faenza e Renato Minore), Iacobelli Editore.

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Fabio Galluccio

Fabio Galluccio, autore ed amico ci ha lasciato. All’improvviso. Un rapporto di amicizia  e di colleganza ci legava. Le nostre strade si sono incrociate ai reciproci esordi. Per me narrativo per lui saggistico. Qui un articolo di Zenone Sovilla che di quella esperienza fu animatore e compagno lo ricorda con parole esatte e partecipi a cui mi lego e che condivido ringraziandolo di poterne fare uso. (Roberto Carvelli)

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100 Tonino Guerra

Facciamo presto, creiamo un grande sogno collettivo! Il centenario della nascita di Tonino Guerra (questo articolo in una forma diversa è uscito su Il Messaggero ieri) e anticipa in qualche modo “Fellini e Guerra. Un viaggio amarcord” (Ponte Sisto), appena uscito.