“Dal Plinio alla pozzolana” è il titolo nostro per “Solo contro tutti”, il capitolo 23 del romanzo di Emanuele Santi “Campo Marzio” (L’Asino d’Oro edizioni, che ringraziamo per la concessione del brano). In queste pagine una fantomatica Virtus Aurelia con i suoi allenamenti, gli schemi, la serietà del calcio dilettantistico. E in mezzo la scuola: il Plinio Seniore di via Montebello.
Come tutte le mattine, la mèta è via Montebello: il Plinio.
Oggi è lunedì e Rita tende l’agguato all’angolo di via Mentana:
rione XVIII Castro Pretorio, subito dentro le mura a due
passi da Porta Pia.
Ecco di nuovo quel sapore affascinante, narcotizzante. La
lingua di lei che si fa strada e lui che la lascia entrare, tanto
ormai è vaccinato. Daniele accelera verso il portone e saluta
l’amico di sempre rimasto intrappolato tra le braccia della fidanzata.
‘Io così non ce la faccio’, pensa Stefano ripassando il sapore
di lei sul palato, mentre Rita gli prende la mano e inizia
a trascinarlo.
«Cammino da solo, non mi tirare».
Barra ferma il passo e la fissa dritto negli occhi, prima ancora
che lei possa ribattere. Poi Rita ci rinuncia e lo manda
avanti ricevendo sotto l’arco del portone i baci e gli abbracci
di Emanuela e di Katia. Stefano va in salita con il solito passo
agile e leggero nonostante la contrattura al polpaccio. Percorre
tutto il corridoio ed entra in classe. Rita lo segue a distanza
ridacchiando insieme alle amiche. ‘Non mi scappa più’,
pensa lei. ‘È mio’.
Anche al campo della Virtus Aurelia è lunedì e, come tutti i
lunedì, Achille ripensa alla partita del giorno prima, risolta
proprio da Stefano Barra, inizialmente lasciato in panchina a
favore di Andrea Primerano che oggi non si è nemmeno presentato
all’allenamento. Dopo la solita predica rivolta a tutta
la squadra, il ferroviere di Montelepre comincia a far galoppare
il gruppo intorno al perimetro del campo e comincia a
prendere di mira proprio Stefano, colui il quale ha dimostrato
a tutti i compagni che l’allenatore non capisce niente.
«Barra, che c’hai oggi? Sei morto?».
Stefano corre piano piano, tenendo il ritmo basso, ma altro
che morto! È il più vivo di tutti. Evita di raccogliere le provocazioni
del mister, fa finta di niente e continua a correre.
Quando tocca agli esercizi fisici, i suoi addominali sono sempre
perfetti e puntuali, non perdono un colpo, eppure l’allenatore
continua a stuzzicarlo. Oggi ce l’ha con lui.
«Che hai fatto ar collo? T’hanno menato?».
Stefano si ferma, toglie le mani da dietro alla nuca e gli risponde:
«No! È ’n succhiotto! ’O sai che è? O t’o devo spiega’?».
I ragazzi scoppiano a ridere e smettono di fare i piegamenti
da terra. Achille incassa e continua nella veste di caporale che
gli piace tanto:
«Forza co’ ’ste gambe! Forza! N’ ve fermate!».
Poi al suo nemico numero uno:
«A te, si te rivedo co’ ’na sigaretta ’n bocca, vedi che te
faccio!».
Non glielo può proprio perdonare il gol vittoria di ieri. La
pacca di fine partita è stata un colpo portato con odio. Per
questo Stefano l’ha schivata.
Al momento del match attacco contro difesa, l’allenatore è costretto
a consegnargli il fratino giallo da titolare e Stefano
Barra, da vero professionista, lo indossa senza fare una piega
e si piazza davanti alla porta: la porta di Marco Bonifaci.
Anche Marco Bonifaci, come gli altri compagni, ha visto il mister
indebolire la squadra. Ieri Achille ha dato la maglia numero
6 a quell’assassino di Andrea Primerano e lasciato fuori
il più forte di tutti. È Stefano il più forte di tutti e Bonifaci se
n’è accorto da un sacco di tempo. ‘Il ragazzino è diventato
grande’, pensa il portiere, ‘è diventato grande proprio tra le
gambe della ragazza’. La tesi del muratore è semplice: se c’entra
la ragazza, c’entra anche lui. Vuole prendersi un po’ di merito,
ma c’è di più, molto di più. Il portiere se ne accorge benissimo
che il suo libero è tornato quello di sempre eppure ha
già deciso che lei gli toglie il respiro, si vede da quella macchia
rossa. Marco Bonifaci, 15 anni, muratore, sguardo incantato
nel vuoto, non sopporta la leggerezza dell’amico nuovo, libero
in campo e fuori. È davvero libero Stefano, nonostante quel
succhiotto di sanguisuga alla base del collo. Quella stessa macchia
rosso scuro dalla quale il portierone di Primavalle non
riesce più a togliere gli occhi.
Bonifaci rimette la palla in gioco proprio verso Barra, Montosi
va in pressing, Stefano si gira e tocca di nuovo al portiere, che
raccoglie con le mani e urla al compagno:
«E mòvete!».
Poi lancia lungo su Marchetti. Ancora una palla alta per
Montosi, Petrangeli va a vuoto, Barra è ben piazzato e appoggia
ancora al portiere. Stefano è pronto allo scambio, Montosi
è distante, ma Bonifaci calcia con rabbia in fallo laterale.
«Viemme vicino!».
È la seconda volta che gli urla contro e non è ancora finita:
«Me devi veni’ vicino, che cazzo fai, dormi?!».
«Oh, stai calmo».
Anche Achille invita alla calma, ma Bonifaci è arrabbiato.
Tra i verdi c’è anche Daniele Simonini che si impegna al massimo.
È proprio un suo lancio lungo ad accendere Mezzetti
sulla fascia. L’ala destra supera prima Petricca, poi Petrangeli
e, sull’uscita di Bonifaci, la passa al centro per Montosi che
accusa i chili di Barra come il rinoceronte accusa i grammi
dell’uccellino sulla schiena. Il gigante calcia a porta vuota, trovando
sul pallone tutti i sessanta chili del piccoletto a contrastare
in un impatto tremendo. Il libero cade a terra e il quintale
scarso del centravanti rimane in piedi a spingere in rete i
pochi etti di cuoio gonfio d’aria. Bonifaci raccoglie la palla
sconsolato.
«Ma vaffanculo, va’!».
Barra rialzandosi da terra:
«Ma vaffanculo te! Hai visto come sei uscito?».
Stefano non capisce perché Marco sia così arrabbiato e intanto
Petrangeli si deve mettere in mezzo prima che Maier e
Beckenbauer possano degenerare. Achille difende il più anziano
e riserva la paternale al più giovane:
«È dall’artra settimana che te vedo strano».
Barra lo ha capito che il suo calo fisico è dipeso anche da
Rita, ma adesso si sente bene. Bonifaci, invece, non sa niente,
ma crede di sapere tutto e dopo appena cinque minuti, ecco
un altro screzio. Il libero salta di testa, il portiere urla «Mia!»,
quando Stefano ha già respinto.
«Si la chiamo, lasciala!».
Palla fuori. Di Leo su Vazzani, Vazzani punta Marchetti,
lo salta e scarica nell’angolo opposto, Bonifaci resta fermo: 2-0
per gli attaccanti. Barra è senza colpe e il portiere non si è
neanche mosso. Bonifaci lo aggredisce ancora:
«Te devi sveja’!».
Il piccoletto non si tira indietro:
«Prima me la chiami tardi, poi resti fermo».
Nessuno ci vuole credere: il libero e il portiere stanno litigando.
Il mister interviene ancora:
«Che c’avete, oggi, tutt’e due?».
«So’ cazzi nostri!» urla Bonifaci per tutti i compagni curiosi.
Achille precisa:
«Qui i cazzi so’ de tutti!».
Bonifaci non sopporta che Barra, nonostante quel succhiotto
sul collo, non sia per niente soffocato dalla ragazza,
ma ormai ha deciso che il piccoletto non respira più. Stefano
non sopporta nessuno negli affari suoi: né il padre, né la
madre, né l’allenatore, né Daniele, tanto meno Bonifaci. Il mister,
allora, prova la giusta sostituzione. Il libero delle riserve,
Fabio Guerrini, si piazza accanto a Petrangeli. Stefano gli lascia
il suo fratino giallo, si mette quello verde e torna, dopo
tanto tempo, a far coppia con Daniele Simonini.
Fabio Guerrini ha l’età di Stefano ma non la stessa classe.
In due minuti, infatti, Montosi e Giovannetti portano il punteggio
sul 4-0. Bonifaci è fuori forma: più attento a seguire
Barra che non a parare. Achille è nervoso, forse si accorge di
non avere più il controllo dei ragazzi. Barra, invece, è in forma
smagliante e la squadra non smette di appartenergli. Il mister
deve per forza rimandarlo tra i titolari gialli e lui continua a
incantare. Incanta quando affronta Montosi corpo a corpo,
toro e torero. Barra schiva di schiena, tocca di punta e disimpegna.
Che classe il piccoletto, quali sabbie mobili, quale ragazza,
guarda come gioca! Stefano serra i ranghi e Bonifaci,
a poco a poco, non riceve più tiri.
Arriva Giovannetti, il numero 10. Qualcuno dice che sia
un fuoriclasse, ma vedendo la facilità con cui Stefano lo affianca,
lo ferma e riparte palla al piede, si potrebbe cambiare
idea. Vazzani e Mezzetti in allenamento sono sempre indiavolati,
eppure la domenica si vergognano a correre. Mezzetti
se la vede sempre con Petricca, ala destra e terzino sinistro,
una costante: torre bianca e torre nera nell’ottusa scacchiera
del ferroviere siciliano. Mezzetti vince spesso e quando vince
crossa al centro. Petrangeli con Montosi la mette sempre sul
piano fisico, il piano tecnico, tra i due, neanche esiste. Stefano
Barra, invece, ha capito che il fisico serve soprattutto con le
ragazze, infatti, i muscoli delle gambe gli bruciano da morire,
ma non fa niente.
Il buio è sovrano e la luce dei riflettori infonde, nell’umidità,
l’aria di una serata di Coppe. L’attacco, intanto, con
Barra in posizione, ha smesso di attaccare, ma Bonifaci, mani
sui fianchi, è muto. Dopodomani tornano le coppe europee,
ottavi di finale, la Roma va in Portogallo contro il Porto, partitaccia.
Si gioca di sera tardi, chi dice le nove, chi dice le dieci,
quel che è certo è che la Rai trasmetterà soltanto la diretta
della Juve da Bruxelles per la coppa dei Campioni. Achille fischia
la fine: a casa, a mercoledì! In Portogallo c’è un’ora di
differenza e tutti parlano della partita, l’unica soluzione sarà
prima la radio e poi la registrata, tardi, a Mercoledì Sport.
Stefano esce dal campo stringendo i denti, sente il polpaccio
destro indurito. Si avvicina al portierone e gli mette una mano
sulla spalla.
«Me dici che t’ho fatto?».
«Levate!».
Barra ritira il braccio e, quasi sottovoce, gli dice:
«Scusa, eh!».
Bonifaci sfila i guanti e tira dritto. Nello spogliatoio, davanti
a tutti, il piccoletto lo affronta di nuovo:
«Me devi di’ che t’ho fatto!».
Marco non ha fratelli più piccoli, soltanto la sorella Manuela
e, allora, diventa padre o fratello maggiore.
«Guarda come stai! Du’ scopate e t’ha steso!».
«Che cazzo te frega a te?».
«Risponni bene!».
Montosi si intromette per evitare il peggio. Barra è lì, faccia
a faccia con l’amico irriconoscibile. Il portiere si toglie la maglia
e, in canottiera da muratore, gli urla:
«Chissà che me frega a me? Vero?».
«Daje, che te frega?».
«Si nun me fregava niente me facevo li cazzi mia!
Stronzo!».
Ciò detto prende i panni e la borsa, sbatte la porta e vola
nello spogliatoio accanto. Stefano gli urla dietro:
«I cazzi tua fatteli lo stesso!».
E si toglie i vestiti in fretta per buttarsi sotto la doccia in
anticipo sulle lacrime. Dall’altra parte del muro di tufo, si
sente Bonifaci sbattere le sue cose sulla panca.
Il piccolo Barra esce dallo spogliatoio trascinando il polpaccio,
la borsa e l’incazzatura. Ha gli occhi ancora rossi. Forse
per lo shampoo, forse per la stanchezza, forse per la violenza
dell’amico nuovo. Troppe cose lo hanno travolto negli ultimi
giorni. Due domeniche fa: Rita Smacchi. Lunedì: la morte di
Armando e la debolezza del padre. Martedì: il funerale e la
scoperta di avere una madre tanto cattolica quanto comunista.
Mercoledì: ancora il letto di Rita, l’allenamento sottotono
e la febbre. Giovedì: la lotta contro la febbre. Venerdì: un killer
di nome Primerano e un mandante di nome Barrafranca.
Sabato: i fascisti a scuola e un’inguardabile Italia a Belgrado.
Domenica: la panchina, il riscatto del gol vittoria davanti a
Tonino, il duello con la farmacista e poi ancora Rita, prima a
letto e poi a spasso. Oggi, lunedì: prima le provocazioni del
mister e poi l’aggressione misteriosa di Marco Bonifaci. Piccolo
grande Stefano Barra: 14 anni e mezzo, solo contro tutti.
Per gentile concessione de L’Asino d’Oro edizioni.
Emanuele Santi, classe 1970, lavoratore aeroportuale turnista. Con L’Asino d’oro edizioni ha pubblicato nel 2013 “Il portiere e lo straniero”, ricerca sull’adolescenza di Albert Camus estremo difensore del RUA, la squadra dell’Università di Algeri. È autore di altri due brevi romanzi: “Memorie di un pony express” (2007) e “L’Attore” (2010). Dal 2008 cura per il settimanale “Left” l’originale rubrica “Calcio mancino”.
Il Liceo scientifico statale “Plinio Seniore” (Plinio è quello del “nulla die sine linea” tanto cara agli scrittori prolifici), è sorto alla fine degli anni ‘50 e può includersi fra i licei “storici” di Roma. Il fatto di trovarsi in un’area a bassa residenzialità (tra uffici, ministeri, ambasciate) gli consegna un tono “non provinciale” ovvero da liceo di quartiere ma al contrario di liceo “romano”. Ringraziamo l’istituto per averci concesso le foto che illustrano l’articolo.