Un road post tra le vie di Roma a caccia del conforto antinevralgico di una santa.
“Durante il medioevo nel cattolicesimo c’era la strana convinzione che i mali del corpo e della mente si potessero curare partendo per un lungo viaggio alla ricerca delle reliquie dei santi da toccare”. Lo scrive lo scrittore-filosofo Alain De Botton in un articolo uscito sul “Financial Times” (che io ho letto in traduzione su “Internazionale”). Così prosegue: “Ai fedeli affetti da mal di denti veniva raccomandato di andare a Roma, alla basilica di San Lorenzo, e di toccare le ossa delle braccia di Santa Apollonia, la santa protettrice dei denti, oppure di cercare i pezzi della sua mandibola nella chiesa gesuita di Anversa o i suoi alluci in vari siti sparsi nei dintorni di Colonia”.
Le cose stavano – e stanno – così. E lo scrivo, per fortuna, in un giorno senza nevralgie. Con l’augurio sincero che a nessuno di voi accada almeno al momento in cui leggete. Consapevole che il “non c’è nulla di così doloroso come il mal di denti” (in verità si tratta di un’assioma adattabile alle più svariate forme di disturbo fisico ma con una significativa preminenza per quelle dentarie) ha una sua bastarda verità. Talmente bastarda e talmente vera da influenzare la rara (per i seguaci di Esculapio) gentilezza delle segretarie e delle assistenti di sedia, igieniste dentarie e via così con la sola talvolta sadica eccezione del dentista. Per definizione poco consolatorio salvo che con i più piccoli. Talvolta. Non sempre.
Ma prima vediamo chi era Apollonia la santa con tenaglia e dente in mano che ci guarda senza troppa pena in questo quadro di Francisco de Zurbaràn.
Intanto, non per spaventarvi, ma questa anziana donna cristiana di Alessandria d’Egitto – così riportano le leggende – viene percossa sino alla caduta dei denti per farle espiare l’aiuto ai cristiani. Una cosa abbastanza truce, davvero. Da qui la conseguente protezione per denti, dentisti, odontotecnici e anche delle igieniste dentali e assistenti di sedia di cui sopra attribuita alla santa.
La cosa più curiosa della sua passio è nel capitolo finale. C’è un fuoco e lei ci deve finire a meno che dica delle bestemmie – cosa che so a qualcuno in verità resta abbastanza facile. Per non bruciare viva vi si butta con l’astuzia scappando ai suoi carcerieri. Lo fa temendo di venire prima abusata e, per non peccare ulteriormente, vi si lancia evitando così altre forme di offesa. Forse anche vinta dal dolore sceglie il suicidio, la morte. Ma le vampe dell’inferno che accolgono in genere i suicidi qui non possono non riconoscere il sincero desiderio di essere risparmiata non dalla morte bensì da altre torture e vizi capitali (per quanto subiti involontariamente). Da qui il martirio. Da qui la santità. Che così sussume Iacopo da Varazze nella sua (“mitica” direbbero molti, stavolta appropriatamente) “Legenda aurea”: “Armata della sua fede più che di una spada contro i piaceri della carne e contro tutte le torture, lei combatte e vince. E questo di degni di concedere a noi Colui che vive con il Padre e lo Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli”.
Idealmente vi avrei voluto portare da Santa Apollonia alla Basilica di San Lorenzo come da indicazioni di De Botton. Idealmente sperando così di salvarvi dal mal che vi affligge o potrebbe. Eppure non ho trovato traccia di questa reliquia nella Basilica di San Lorenzo (fuori le Mura) che invece parrebbe trovarsi, un po’ di default, nella chiesa di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri a piazza della Repubblica (così riporta un documento della chiesa intitolato “Elenco delle 139 Reliquie lasciate in eredità dal Cardinale Camillo Cybo alla chiesa di S. Maria degli Angeli e poste nella cappella da lui stesso fatta costruire che si trova sul lato sinistro del presbiterio della Basilica”).
Il reliquiario della santa – come spesso tutti i reliquiari – si sa è cosa complessa. Addirittura Pio VI, cercando di mettere ordine al culto delle reliquie della nostra santa Apollonia, fece raccogliere in tutta Italia presunti denti della martire, riempiendo uno scrigno di tre chili buttato quindi in Tevere. Dove tutt’ora dovrebbe trovarsi questa cassa di reliquie taroccate.
Sono stato allora in questa chiesa un po’ da funerali di Stato. Una chiesa che, a dispetto della grandiosità del progetto michelangiolesco-vanvitelliano, mi risulta un po’ ostica. Lì incasellata tra le mura delle terme davanti allo splendore dei palazzi porticati di Gaetano Kock e alla fontana delle Naiadi di Mario Rutelli. E vale la pena andarci, funerali a parte, già solo a vedere da fuori le porte in bronzo di Igor Mitoraj, inaugurate il 28 Febbraio 2006. Ma ne riparleremo. Il reliquario, in tutti i casi, non è aperto se non in orari speciali. E così la ricerca prosegue. Tra piste false e presunzioni.
Non è neppure il caso di sottolineare che a Roma c’era – e anche questa è l’ennesima sparizione di cui ci occupiamo in questo articolo – una chiesa di Santa Apollonia (che non c’è più) vicina a Santa Maria in Trastevere.
Ma l’ulteriore scoperta è che forse (a detta del sacerdote di Santa Maria, almeno, da me intervistato a cinque minuti da una funzione) la Basilica di San Lorenzo di cui fa menzione il De Botton è quella in Lucina.
E ho provato ad andare a controllare. I siti non lo dicono mentre si profondono in elementi politici. Chi dice che è la chiesa dei funerali del bandito della Banda della Magliana De Pedis, chi della preghiera quotidiana di Giulio Andreotti e di conseguenza de “Il divo” di Sorrentino che lo ipercita fino a un biografismo inaccreditabile anche se vulgato. Ma nella pellicola del regista non c’è traccia del bel crocifisso di Guido Reni.
Ci sono andato in un tardo pomeriggio un po’ nuvoloso. Prima avevamo letto che a San Lorenzo in Lucina – domus di una matrona Lucina su cui nel IV secolo si sarebbe costruita la chiesa – c’è persino uno spezzone della graticola di San Lorenzo. E, per non smentire la sua fama di accreditato reliquiario, che qui si organizzò una mostra sui resti di Padre Pio.
All’ingresso mi ha accolto un dispenser ipotecnologico di cartoline tra il votivo e l’artistico.
Un anziano sacerdote sedeva intento a leggere un libro sacro nella sagrestia. Di là, in una bella cappella laterale dedicata alla madonna, era iniziata una funzione. Ho provato ad attirare l’attenzione del prete in un’atmosfera surreale non dissonante da quella di un film del prima nominato regista. Ma ho dovuto alzare un bel po’ il tono della voce rischiando di disturbare la messa per quanto in una cappella lontana. Al quinto e sempre più roboante “scusi” il prelato ha indicato il collega all’altare e, non avendo tempo di attendere la fine della funzione, sono stato costretto a cedere al nulla di fatto. Mi sono chiesto se avessi avuto il mal di denti a che santo mi sarei dovuto votare. Forse, mi sono detto, non è più comune la ricerca dell’intercessione. E mi sono detto che quel che conta è sempre l’intenzione. E ogni chiesa dà un suo conforto silenzioso, un po’ come un farmaco da banco, un generico, di cui non serve la ricetta.
Da fare
La spesa da Eataly, guardando dalla chiesa emiciclo sinistro del porticato dell’Esedra.
Un caffè da Ciampini a piazza in Lucina.