I miracoli della città è il titolo con cui pubblichiamo un estratto dal capitolo 6 del libro “I miracoli” (il Sirente) di Abbas Khider. Iracheno-tedesco è stato giudicato una delle voci più interessanti della nuova letteratura europea migrante.
Giuro su tutte le creature visibili e invisibili: ho sette vite. Come un gatto. Anzi no, ne ho addirittura il doppio. I gatti potrebbero diventare verdi dall’invidia. Nella mia vita i miracoli sono sempre accaduti all’ultimo minuto. Io ci credo, ai miracoli.
A queste insolite eccezionalità per le quali semplicemente non c’è altra definizione. Uno dei misteri della vita. Questi miracoli hanno molto in comune con le coincidenze, ma non posso neppure definirli coincidenze perché queste ultime non capitano di frequente.
Un caso è un caso, per banale che possa suonare. Si può parlare di una, massimo due grandi casualità nella vita, ma non certo di una gran quantità di avvenimenti fortuiti.
Ci sono quindi eventi che sono miracoli, e non coincidenze: così mi permetto di teorizzare, pur senza seguire una logica aristotelica. Non sono una persona superstiziosa, non credo all’ultraterreno né all’occulto. Nel corso della mia vita ho, per così dire, sviluppato il mio personale orientamento religioso, adatto a me soltanto. Assolutamente individuale.
Ad oggi, per esempio, io venero gli pneumatici. Sì, i copertoni delle auto! Per me non sono soltanto i piedi delle macchine, sono angeli custodi. Lo so, non deve suonare del tutto sensata come affermazione, dato che molta gente ci ha lasciato la vita, sotto gli pneumatici. Ma uno pneumatico può anche salvarti la vita. Ed è così che ha avuto inizio il primo miracolo.
Ero a Baghdad, in carcere. Trovarsi in galera a Baghdad non è affatto un miracolo, e negli anni Novanta era perfettamente normale. Mentre ero lì venne anche il giorno di un viaggio inatteso.
Un viaggio indimenticabile. Le guardie riunirono tutti i detenuti, li ammanettarono, li bendarono con un panno nero e li stiparono in diverse auto. I veicoli si mossero lentamente. Era tutto buio.
Avvertivo soltanto il respiro dei miei compagni di prigione e il battito del mio cuore. Sentivo il sudore degli altri e i loro vecchi vestiti madidi. Dopo una mezza eternità, nelle mie orecchie si insinuò un incessante brusio di voci, insieme al
rombo di mille motori. Finalmente potevo di nuovo ascoltare la normale vita quotidiana della mia città.