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Il teatro di via Belsiana

Vi immaginate se non l’avete vissuta e vista la Roma del beat? Senza fare sforzi titanici o storiografiche ecco un libro che ricrea quelle atmosfere. Lo ha scritto Claudio Pescetelli per Zona editore: “Roma Beat. I duemila giorni che cambiarono la città eterna”. Abbiamo scelto per voi l’esperienza del Teatro di via Belsiana con i Volonté protagonisti (nella foto Claudio, il fratello meno noto).





Nella Roma d’inizio anni Sessanta, uscita a malapena dai mille problemi del dopoguerra, succedevano cose assurde per il giorno d’oggi. Si poteva circumnavigare il Colosseo in automobile, per esempio, o parcheggiare tranquillamente in piazza Navona. Il salotto buono – il tridente piazza del Popolo-piazza di Spagna-via di Ripetta, tra le aree più pregiate per il mercato immobiliare – ospitava locali alternativi di ogni sorta, ossia
qualunque spazio (sotterranei, cantine, chiese sconsacrate, ex stalle…) permettesse alla gioventù bohémienne del momento di ritrovarsi e stare insieme, per poche lire.

Era la gioventù che rifiutava sia la persistente, soffocante cappa moralistico-religiosa che gravava da secoli sulla città, sia la sbandierata Dolce Vita da cartolina: in pochi metri quadrati, spesso umidi e maleodoranti, si provava a scalfire lo status quo di quello che Dario Bellezza definiva “un enorme campo di concentramento democristiano”.

Proprio in una ex stalla al 15 di vicolo delle Orsoline, una traversa di via Vittoria, Mario Ricci nel 1964 inaugura il suo Orsoline 15, forse il primo teatro off romano, dove rappresentava le sue opere, descritte
dall’Unità come “tentativi di spettacolo, operati con l’ausilio base della pantomima, di ricerche formali (in cui giocano una parte di assoluto rilievo le luci, i colori, gli oggetti scenici, le musiche registrate, persino delle marionette Pop, ecc.) che dissolvono sempre più il loro legame con un tema, un’idea quale che sia, una storia”. In seguito Ricci aprirà il teatro Abaco, a lungotevere dei Mellini 33/a.

Da vicolo delle Orsoline, oltrepassando via Vittoria, si arriva in via Belsiana, una parallela di via del Corso che sbocca in via Condotti – una delle strade dello shopping-bene, con via Frattina e via Borgognona. Al civico 48 di via Belsiana si erge la chiesa del Santissimo Sacramento di San Lorenzo in Lucina, un oratorio costruito nel 1578 annesso all’omonima confraternita: caratterizzato da una piccola scala d’ingresso, decorato con tavoloni di legno dipinti a olio, tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo fu sede di concerti di musica barocca. La struttura, sconsacrata ufficialmente solo nel 1970, rimase a lungo abbandonata mentre il sotterraneo – descritto come “un budello bianco, a volta, largo dodici metri e lungo una trentina” – venne affittato fin dai primi anni Sessanta ad artisti e piccole compagnie teatrali.

Come quella dell’attore e regista Carlo Cecchi che già nel 1964 vi allestì – alternandola a fitti e continui dibattiti – la sua versione di The Brig, dall’omonima pièce del marine americano Kenneth H. Brown messa
in scena l’anno prima a New York dal Living Theatre. Brown negli anni Cinquanta era stato di stanza nel Pacifico, presso la base di Camp Fuji, e lì aveva scontato trenta giorni di prigionia con l’accusa di diserzione:
prese spunto dalla sua personale esperienza per la stesura dell’opera, dal forte spirito antiautoritario. The Brig (che in inglese sta per “brigantino”, un tipo d’imbarcazione, ma anche per “prigione”: o ancora, per associazione, indica le prigioni a bordo delle navi, o comunque quelle militari) era il recinto in cui venivano rinchiusi i soldati indisciplinati, sottoposti a un duro trattamento: “una realtà quotidiana fatta di violenze e vessazioni di ogni tipo, ma soprattutto di divieti assurdi e di assurde prescrizioni, miranti fondamentalmente alla totale spersonalizzazione dell’individuo”.
(…)

Sotto le centenarie volte di vicolo Belsiana 48, la sera di sabato 13 febbraio 1965 è prevista la prova generale di Il Vicario, del tedesco Rolf qualsiasi riproduzione, diffusione Hochhuth, spettacolo allestito dal circolo culturale Letture Nuove capeggiato da un ceto Gian Maria Volonté. Questi – con un manipolo di agitatori tra cui lo stesso Carlo Cecchi e il drammaturgo Claudio Meldolesi – nel 1963 aveva fondato a Roma il Teatro Scelta, uno dei
primi collettivi teatrali autogestiti. A bordo di camion e camioncini, nell’estate del 1964 girarono soprattutto la Toscana con opere di Bertolt Brecht e altri autori. Rientrata a Roma in autunno, la compagnia decise di allestire una riduzione del Vicario già realizzata da Cecchi sulla base dell’edizione italiana dell’opera – ben 487 pagine a cura di Ippolito Pizzetti – pubblicata proprio quell’anno da Feltrinelli.

Il Vicario è un dramma in cinque atti dedicato dall’autore “all’inter- nato n° 16.670 di Auschwitz”, cioè padre Massimiliano Kolbe, il francescano polacco che offrì la sua vita in cambio di quella di un padre di famiglia, santificato nel 1982. Vi si accusa papa Pio XII di non aver agito con maggiore energia e determinazione nei confronti di Hitler e del nazismo, soprattutto per quanto riguarda la deportazione degli ebrei. Polemica vecchia e che ha sempre sollevato un vespaio, specie qui da noi. In questo caso il polverone si era già levato in Germania nel novembre 1962, quando il lavoro teatrale, di cui diversi editori tedeschi avevano rifiu- tato la pubblicazione, fu insignito di un importante premio letterario; ma fu solo dal 20 febbraio 1963 – giorno della prima al teatro Freie Volksbuhne di Berlino per opera del regista Erwin Piscator – che l’opera fece esplodere polemiche via via sempre più feroci dai palcoscenici di Londra, New York, Parigi e Vienna. A gettare ulteriore benzina sul fuoco contri- buì la concomitante uscita di un libro – La chiesa cattolica e la Germania nazista, di Guenter Lewy – che conteneva documenti inediti sui rapporti tra il Vaticano e il Terzo Reich.
(…)

Nella fredda serata di sabato 13 febbraio 1965, Roma sta lentamente uscendo dall’incubo di una nevicata che il giorno 9 – e per la precisione dalle due di notte a mezzogiorno e dalle tre alle cinque del pomeriggio,
quindi per dodici ore – ha paralizzato ogni cosa: trenta centimetri di neve hanno trasformato la capitale in una città senza tram, luce, riscaldamento, acqua e telefono. Scuole e uffici chiusi, ferma ogni tipo di attività, treni bloccati, chiusi gli aeroporti per piste impraticabili.

Incuranti delle condizioni atmosferiche ancora inclementi, alcune decine di persone scendono gli scalini di vicolo Belsiana 48: le cronache indicano la presenza di Dacia Maraini, Alberto Moravia, Bruno Zevi, il poeta spagnolo Rafael Alberti, il regista Florestano Vancini, il soprano Adriana Martino, l’attrice Marisa Mantovani, l’editore Giangiacomo Feltrinelli, e poi critici, corrispondenti di teatro e semplici amici, tutti invitati alla prova generale del Vicario.

Sono da poco passate le dieci, la rappresentazione è iniziata da pochi minuti quando nella sala irrompono decine di agenti di polizia che invitano tutti quanti a uscire dalla struttura per “mancanza di agibilità”, come sfruttando appieno il suggerimento del Messaggero. Ai primi rifiuti, i poliziotti passano alle vie di fatto e obbligano il pubblico a lasciare i propri posti, spintonando le persone fuori dal teatro. Chi si rifiuta viene insultato e strattonato, finché la sala non si svuota.

Intanto in strada – tra gli spettatori arrabbiati, i giornalisti e gli intellettuali presenti, i fotografi richiamati in fretta dal tam-tam e i curiosi attirati dal baccano – si crea una discreta folla che protesta al grido di “vergogna! vergogna!” e “fascisti! fascisti!” (secondo alcuni, sarebbe stata intonata anche Bella Ciao) nei confronti delle forze dell’ordine, che bloccano la circolazione con l’imponenza dei propri mezzi: sette camionette, due camion, un cellulare e una radiomobile, un armamento da retata. Per disperdere la folla saranno necessarie un po’ di randellate – condite dalla solita buona dose di insulti – mentre Piero Capponi (fratello della gappista Carla Capponi) che insiste per vedere il mandato sarà brutalmente picchiato e condotto al commissariato Campo Marzio assieme a un cronista dell’Unità, il musicista e scrittore Leoncarlo Settimelli: per entrambi scatterà una denuncia per resistenza a pubblico ufficiale.

A tarda notte, la via viene completamente sgomberata ma un presidio di agenti resta a piantonare vicolo Belsiana 48. Il motivo? Dopo l’irruzione, gli attori del circolo Nuove Letture si sono asserragliati all’interno del teatro per protesta contro l’accaduto. Ma chi sono questi ragazzi diretti da Gian Maria Volonté? In rigoroso ordine alfabetico: Giorgio Bonora, Franco Bucceri, Mario Bussolino, Ugo Cardea, Nilo Checchi, Giuliana Falcetti, Alberto Marescalchi, Giacomo Piperno (nel ruolo di Pio XII), Carlo Reali e il fratello di Gian Maria, Claudio Volonté.

Nel teatro di vicolo Belsiana 48 l’attività continuerà fino al 1968, pri- ma della chiusura per problemi economici. Sarà soprattutto la Compagnia del Porcospino – gestita dal trio Dacia Maraini, Alberto Moravia ed Enzo Siciliano – a occupare la scena, con attori del calibro di Paolo Bonacelli, Laura Betti, Angelica Ippolito, nonché un regista come Peter Hartman, del giro del Living Theatre.

Il locale ospitò mostre e performance artistiche, come quella di Luca Patella, con slide su doppio schermo dal titolo Biglietto d’autobus e films di Luca Patella.

Vi si svolsero concerti rock: storico quello di Le Stelle di Mario Schifano, nel settembre 1967. Uno scatto di quella sera, opera del fotografo Manfredi Bellati, campeggia sulla copertina interna del loro unico, leggendario album, col gruppo on stage mentre Mario Schifano proietta sul palco il film Anna Carini in agosto vista dalle farfalle. Da vicolo Belsiana passò anche il gruppo MEV-Musica Elettronica Viva di Alvin Curran,2 Allan Bryant, Richard Teitelbaum, Ivan Vandor e Frederic Rzewski, audaci sperimentalisti che si esibirono la sera del 14 marzo 1968 con il loro ostico Spacecraft.