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flânerie e viaggetti

La Monumentale al Verano

Bando alla scaramanzia, che ne dite di un cicloraduno nel cimitero Verano old style tipo quelli de “L’Eroica”?





Stanno tornando in voga le corse in bici. Quelle con mezzi e tenute d’antan. Magliette di lana con marchi storici, camere d’aria a tracolla e occhialoni para-schizzi.
D’accordo, per i non-amanti del genere, il tutto sarà pure vintage ma ha un fascino meritorio. I vecchi telai (quelli che, al nudo delle ruote, un mio amico chiamava basicamente “cancelli”) hanno un loro perché. Magari non ultraleggero ma talvolta agile. Un perché in ogni caso originario più che originale. Ed è bello poi impreziosirli: vestirli, come dice qualcuno.

Ci piace poi che abbiano quei colori ancora così contenuti. Prima del tronfio fluo. Magari anche un giallo ma non stabiloboss. Su tutti si staglia il verde-acqua della Bianchi, un colore che sembra stato inventato per andare a due ruote. Fors’anche perché molti non metterebbero mai un golf di quel colore né ci vernicerebbero casa (e forse neppure una scuola o un ospedale come usava la moda di una volta).

La più nota di queste corse è “L’Eroica”. E noi per versificarla l’abbiamo ripensata e rivisitata in chiave più “noir” e “maudite”. Non macabra eh, sia chiaro. Magari apotropaica però sì. La nostra corsa d’antan si tiene al cimitero comunale monumentale Campo Verano, noto ai più col semplice appellativo Verano. Da cui i famosi versi di Vittorio Sereni: “Perché, tu che sai tutto di Roma,/ lo chiamate così quel vostro cimitero/ con quel nome spagnolo che significa estate?”. Già perché lo chiamiamo così?

Nella versione più diffusa il nome sarebbe aggettivizzazione della radice latina ver, e sta per primaverile (sempre una questione stagionale, quindi!). Per venire alla nascita: inizio ‘800 (1811 per la precisione), embrioni negli editti napoleonici, tanti architetti coinvolti (nel disegno iniziale persino Valadier), poi Virginio Vespignani. Dentro, la firma illustre di tanti altri artisti del modello: Piacentini, Koch, Ximenes, Cambellotti, Canonica. Alcuni lo hanno fregiato e ci sono stati seppelliti, non consueta attualizzazione del detto “scavarsi la fossa da soli”.




Se uno ci va al Verano ci va è chiaro per celebrare le urne dei forti (molti forti sono però, sia detto, all’Acattolico alla Piramide Cestia). Se uno ci va, forse non ricorda che il Verano reca la traccia storica della stupidità della guerra, la sua miopia. E per uno che lancia bombe non è un bel dire. Se poi c’è il dolo, va ragionato su che senso abbia farle cadere nel vuoto della morte. Stiamo parlando del bombardamento del 19 luglio 1943, che fece danni ai vivi del vicino quartiere San Lorenzo e ai trapassati del cimitero. Forse per essere sicuri della fine o solo per profanare come purtroppo è tornato poi di moda per esprimere un dissenso antropologico contro gli ebrei, ad esempio. E anche qui tutta questa intelligenza non la scorgiamo!

Da un punto di vista ciclistico non si può dire che il Verano sia un circuito velodromico. Tutt’altro. Qualche salita, il Pincetto, curve e viali per le tirate. Tornanti per piegare il ginocchio quasi a terra. Non vi sentiate in colpa per il luogo sacro: tutto si crea e nulla si distrugge. Tutti diventeremo cenere – se non stiamo attenti avverrà prima -, il sudore ridiventerà adipe – se dopo la pedalata mangiamo a quattro ganasce per consolarci dello sforzo. Insomma siete nel luogo adatto alla scoperta del panta rei greco, dell’atarassia stoica, del nirvana buddista. Anche se vi attraversa un gatto nero (a noi è capitato) è così certo che bisogna rigirarsi e pedalare a ritroso? Lasciamo libertà di voto.

Dunque, in sella. Ma prima vediamo i passi. Lato “organizzazione”, ci si potrebbe dare appuntamento nel piazzale. Magari prima vedere la Basilica di San Lorenzo Fuori le Mura. Cincischiare tra i banchi di fiori con quei nomi iper-romani tipo Remo o Iole, Cesare e Ada. Poi alla spicciolata dentro. Sarebbe bello anche all’interno andare ognuno per la propria strada. Il Verano si presta all’andatura solitaria. Nulla di troppo agonistico e comunque uno sport che preveda paure meditative. Non vogliamo metterla in maniera grave ma sì. Per cercare paralleli non truci è come uno scalatore di maggior fortuna, uno di quelli che ha staccato il gruppone e si arrampica cercando di lasciare indietro a minuti tutti, anche le ammiraglie, per finire a braccia alzate dritto al traguardo.

Tornado alle pause sfiato (non abbiamo detto “esalazione”!) ce ne sarebbero tante consigliabili. Una lista completa, come al solito, e on line, la fornisce wikipedia.
L’elenco nostro non sarebbe che personale, se si può dire. Proviamo: Aleramo, Belli, Cecchi, De Angelis (il pilota), i De Filippo, De Sica e Di Vittorio, Fabrizi e Fregoli, Gassman e la Ginzburg, Lama (quello della scala), e Don Lurio (vi ricordate la tivvù dei balletti a bianco e nero?), Errico Malataesta (daje) ma pure la Wilma Montesi (pace all’anima sua), Ernesto Nathan (guardatevi chi era) e lo struggente (non per me) Amedeo Nazzari, Pascarella e l’evangelica Petacci, Alfredino Rampi, la Rosselli e Rossellini, e Rota e Sordi, Savinio (dimenticavamo (il più grande dei De Chirico)!), Togliatti, Toti (il ciclista-eroe) e Trilussa, Ungaretti, la Valli, Vianello (invero me lo sarei immaginato a Milano stante il lungo coro nella città meneghina e il legame con la moglie Sandra seppellita invece a Lambrate). Per i fedeli giallorossi, Dino Viola. E, per chiudere con la zetadizorro: Zampa e Zanazzo (il poeta dialettale).

Scusate la sintesi indecorosa per gli esclusi. La vista per gli amanti del genere e più scarsi pedalatori è sontuosa: sacrari militari e viali alberati (un po’ alberi pizzuti per dirla alla romana ma tanto verde), rettifili con tombe a destra e sinistra impilate in condomini giapponesi. Bello è rispuntare in mezzo al caos della Tangenziale protetti da mura e cancelli guardare a quei disperati al volante con un giusto compiacimento. Un consiglio per tutti riguardo alla tenuta ciclopedalica: occhio alle radici. Per il resto e come sempre “bere molto” e prendetela con allegria!

Di roberto carvelli

Founder e direttore di "Perdersi a Roma" collabora con Il Messaggero, il Venerdì e Nuova Ecologia. Ha pubblicato libri di prose, poesie e narrativa di viaggio tra cui "Letti" (Voland), "AmoRomaPerché" (Electa-Mondadori), "La gioia del vagare senza meta" (Ediciclo), "Fùcino" (Il Sirente), "Il mondo nuovo" (Mimesis), "Andare per Saline" (Il Mulino) e "I segni sull'acqua" (D editore).