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La vita off

Apologia dell’aspirante attore non protagonista a partire dal libro di Ninni Bruschetta.




“Eccoli lì, lungo le strade, come a cercare segrete plaghe”. Eccoli lì, sì, non i pittori della domenica di Conte. Eccoli lì, gli attori non protagonisti, eccoli lì gli aspiranti fini e meno fini dicitori. Eccoli e poi eccoli sparire. Non so cosa ci attragga di un libro che non conosciamo: a me è capitato qualcosa con questo memoire in cui Ninni Bruschetta ha condensato la sua storia di palcoscenici calcati, di ciak si gira e di convocazioni, di alterne vicende legali raccontate queste con la serenità confuciana di chi sa attendere le soluzioni. Lui, e parliamo qua di nuovo di carriera attoriale, ce l’ha fatta e anche meritoriamente. Non lo dice ma un segreto c’è e non è solo il talento di cui dispone. Il suo “Manuale di sopravvivenza dell’attore non protagonista” (Fazi) lo urla e non tra le righe: si tratta di sopravvivere, di resistere, appunto. E forse pure di accettare il buono.

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Leggendo questo libro di considerazioni sull’arte del fare la parte di altri ho avuto più e più volte la luccicanza di un ricordo. Che fine ha fatto quell’uomo che nei corridoi dell’università diceva: mi do quarant’anni e poi o ce l’ho fatta o mi ammazzo? E’ ancora vivo? Calca ancora le scene di quei piccoli teatrini off? Si sarà rappacificato con la sua vita di “non protagonista”?

In fondo tutti in parte siamo un po’ non protagonisti. Il nostro successo, la nostra fama si scontra con il salvificante incontro con la pochezza. La spostiamo continuamente: dall’amore all’amicizia, dalle cose pratiche alla gloria. Ma la spostiamo, appunto. Il nucleo centrale del nostro profondo mondo dell’Io conosce l’abisso e non sono qui – per estremismo – a citare due grandiosi attori americani che non ce l’hanno fatta a reggere il successo perso e quello da poco conquistato. Né quei grandi attori sempre USA sulla bocca di tutti perché, forse in ragione del mantenuto successo, hanno accettato ruoli a dir poco ridicoli dopo “La Storia del Cinema”. Non sono qui a citare nulla perché la storia di ognuno è simile e diversa. E forse è un po’ la storia di tutti. E la grandezza di questa ironica epica dal basso dell’attore che cerca di farcela che ha scritto l’attore messinese mi pare proprio in questo saper essere il manuale di tutti. Davvero di tutti e non dei soli attori. Che qui vengono spesso nominati in liste da arca di Noè, come per salvarli ancora una volta dalla dimenticanza o, nel caso dei più famosi, per ricordarli anche alla luce della tanta fatica fatta e della irrefutabile buona fortuna avuta più che del successo ottenuto.

Leggendo il libro di Bruschetta – “Questo era il suo segreto, fare tutto quello che ti propongono. (…) Non potete rifiutare, non potete scegliere, perché il lavoro è poco, le paghe sono basse e le occasioni sono ancora di meno” – la cruda realtà dell’attore non protagonista balza agli occhi con la modestia e la capacità riduzionista che deve avere sempre un attore. Anche grande. Mi è venuto da pensare anche a quei luoghi praticati nell’adulazione: i camerini troppo piccoli, i palcoscenici troppo stretti per una compagnia, i cartelloni troppo nascosti per essere notati, i nomi scritti troppo piccoli per essere letti e mandati a memoria.

Spesso la vita dell’attore non protagonista sembrerà simile a quella delle mosche che si avvicinano al calore del successo solo per la fortuna di potercisi appoggiare sopra per il tempo necessario in cui qualcuno ti ci farà stare e poi a un gesto via di nuovo. E così di volo in volo, di appoggio in appoggio, mai qualcosa di più permanente – ma non è il caso di Bruschetta (ah tra parentesi: nel suo libro c’è anche un po’ Roma, la sua Roma di ponte Milvio e giù di lì) e del suo successo permanente (il libro è, per così dire, un libro con il raro, in questi casi, happy end).

Ho ricordato compagne di università e spazi che arrancano con piccoli raggiri sui prezzi e sulle tessere, sui corsi di teatro dall’aspirante all’aspirante e quelli retti solo dalla passione e dall’ambizione gigantesca che però partorisce il topolino piccolo di una stoffa stinta, una poltrona lisa, una cassa acustica che gracchia.

E ho pensato che tutti – e dico tutti – siamo, siamo stati o saremo off. E, a veder bene, già solo pensarlo fa bene.

Di roberto carvelli

Founder e direttore di "Perdersi a Roma" collabora con Il Messaggero, il Venerdì e Nuova Ecologia. Ha pubblicato libri di prose, poesie e narrativa di viaggio tra cui "Letti" (Voland), "AmoRomaPerché" (Electa-Mondadori), "La gioia del vagare senza meta" (Ediciclo), "Fùcino" (Il Sirente), "Il mondo nuovo" (Mimesis), "Andare per Saline" (Il Mulino) e "I segni sull'acqua" (D editore).