Con il titolo “Le notti di Prati” pubblichiamo un estratto dal libro di Lucilla Schiaffino “Trame d’infanzia” da poco uscito per Voland. In questa pagina la Roma appena conosciuta. Quella di Prati. Delle uscite serali e della conquistata libertà.
Per un attimo era stato piacevole immergersi in quei sentimenti che l’avevano accompagnata quando era piccola. Immediatamente dopo, però, si era sentita sola.
Da quando viveva a Roma non aveva mai sofferto la solitudine. Tutto era avvenuto in modo automatico: era bastata una conoscenza per introdurla a nuovi giri, e al primo invito ne erano seguiti altri, a catena, con il risultato di essere sempre in compagnia. La sera di rado rimaneva a casa, anche quando era stanca.
A pensarci bene però, l’incontro inaspettato non aveva suscitato in Riccarda un vero senso di solitudine, quanto piuttosto la riscoperta di una sensazione avvolgente, che da bambina considerava normale. Era un senso di protezione familiare, che trasmette fiducia e non tradisce. Ormai non lo provava da anni e forse, senza accorgersene, le era mancato.
Era stata lei a fuggire. Aveva abbandonato la sua compagine familiare senza riuscire più a ritrovarsi. Era stata lei a rinunciare a quel conforto genitoriale.
O forse era stato il contrario. Aveva perso sicurezza, tanto da avere voglia di ricominciare una vita nuova. Lontano. Si era quindi trasferita a Roma e per la prima volta aveva preso in ma- no la sua vita, lasciandosi alle spalle tutto quello che le causava sofferenza.
Ma Emma, che viveva in Puglia, cosa ci faceva nella capitale? Riccarda credeva che i suoi parenti fossero sparsi tra Firenze, Milano, Lecce e Allieri, il paesino in provincia di Lucca di
dove la famiglia era originaria. Si era ingenuamente convinta che Roma fosse un’oasi privata, un rifugio. Sorrise al pensiero, tutto sommato poteva aspettarselo: in fondo non si era trasferita in una località remota…
Emma aveva accennato alla professione di giornalista. Tipico. Nei ricordi di Riccarda la cugina affrontava la vita di petto, senza cercare scorciatoie. Quel mestiere le calzava in pieno, era una che osava. Anni prima l’aveva ammirata, seguita, senza che Emma se ne rendesse neanche conto: per lei Riccarda era solo la cuginetta insignificante.
Erano molto diverse. Emma era una protagonista, mentre lei non avrebbe mai voluto esserlo. Troppo complicato e dolo- roso. Era stata sempre convinta che alcune persone nascessero con un ruolo secondario, di contorno agli altri, com’era stato per lei. Preferiva così, la vita era sicuramente più facile senza eccessi.
Le aveva parlato di un articolo sulle escort. Ma lei non lo era, la cugina doveva aver frainteso. Come al solito Emma tendeva all’esagerazione. Usciva con uomini più grandi, è vero, ma per scelta, non per lavoro. E non c’era niente di male a trarne un vantaggio economico.
E ora come avrebbe potuto rimediare? Incontrarla di nuovo significava affrontare il passato, parlarne, e poi… Non ne aveva voglia.
Per Emma non sarebbe di certo stato un problema. Lei confessava sempre tutto, esternava ogni sensazione o episodio che la infastidisse. Per questo c’era chi non la prendeva sul serio, chi la trovava irritante. Riccarda invece era più discreta, non parlava quasi mai di sé.
La sera prima era arrivata nella sua casa in Prati a notte inoltrata, aveva spento il telefonino e non l’aveva più riacceso. L’appartamento era esageratamente curato e troppo lezioso: Riccarda si sentiva una persona migliore se si contornava di bellezza, ordine e pulizia.
Una volta aveva assunto una donna di servizio, ma l’aveva licenziata nel giro di pochi giorni, con un pretesto. La vera ragione era che non le serviva: dopo che lei aveva pulito Riccarda rimetteva in ordine a modo suo, passava l’aspirapolvere e lo straccio anche se non ce n’era bisogno. E poi quella donna mostrava troppa curiosità per la stanzetta che Riccarda teneva sempre chiusa. Nessuno doveva entrare nella sua “camera dello schifo”.
Riccarda aveva bisogno di quella stanza per conservare il suo stato di ordine perenne, estetico e mentale. La cameretta le serviva per riporre le cose inutili, che la inquietavano o che non riteneva in armonia con il resto della casa.
Non si stancava mai di mettere a posto l’appartamento, di dedicarsi al suo passatempo preferito: l’ordine. Solo quella stanza, quello spazio dislocato, rimaneva escluso dalla sua ma- niacale pulizia. Quel giorno, però, contrariamente alle sue abi- tudini, non aveva nessuna intenzione di alzarsi dal letto; di mangiare, in ogni caso, non sentiva mai il bisogno. Sarebbe rimasta lì, apatica, almeno per un giorno o due. Fino al prossimo bante.