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flânerie e viaggetti

Le ultime parole (non famose) di Gadda

Gadda raccontato dalla Ripa di Meana prima di entrare nel mito di se stesso.

Via Leonardo Blumenstihl, 19. Piano secondo. Interno 13. Questo l’ultimo indirizzo di Carlo Emilio Gadda. Uno degli scrittori più longevi (con Pier Paolo Pasolini, forse, a cui lo accomuna quanto meno l’uso dell’acronimo con triple iniziali) riguardo alla celebrazione della romanità. E nel suo caso anche (e forse più) per quello della milanesità. E per quel che concerne il racconto della nostra città è sintomatico che avvenga con un solo libro: “Quel Pasticciaccio brutto de via Merulana”. Altrettanto sintomatica e abbastanza originale, poi, la doppia riuscita interpretazione della linea Milano-Roma che solitamente discrimina gli autori facendoli appartenere a uno o l’altro dei salotti o dei caffè. Ombroso infine – e a prescindere – l’incantamento dello scrittore per il culto romano-fascista.


Parliamo di Gadda approfittando di un breve testo a diario che una giornalista, incaricata di intervistare il grande scrittore, raccoglie a margine di una nata amicizia o frequentazione tardiva tra i due. Un libriccino davvero prezioso e non per la retorica fine vita.

Carlo Emilio Gadda nel 1960 (c) Wikipedia
Carlo Emilio Gadda nel 1960 (c) Wikipedia

L’Ingegnere che ci racconta Ludovica Ripa di Meana in “La morte di Gadda”, che è uscito per i tipi della nottetempo (collanina “i sassi”), è un uomo al traguardo della vita. La senilità in questa bella casa sulla Camilluccia, in una via interna che lambisce il verde Trionfale, ci trascina in una residenzialità compassata e perbene che attende al fine dei suoi giorni con il rimpianto (forse) dell’amore.

Il “nonamato” (così LRM, anche lei condivide il destino del trino acronimo) acquisisce nipoti non suoi, litiga con la donna di servizio che lo accompagna nell’organizzazione della casa e della vita come un nocchiero saturo di intimità acquisita. È il 21 maggio 1973 e, nel testo che recensiamo, “G* ha tirato le cuoia”. I gesti che seguono alla fine sono violenti e teneri (come quello classico di legare la mandibola con un fazzoletto sulla testa). La scrittrice li dispone sul piano del suo racconto tra spudoratezza e dolcezza, affinità e ammirazione, curiosità e pena. Il burbero Gadda che vessa la collaboratrice domestica è lo stesso che si commuove agli amati “I promessi sposi” che la giornalista fa risuonare in quella casa di via Blumenstihl in una sorta di audiolibro live. La fine ha spesso questa dissonanza tra maestosità e semplicità.

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Uscendo da questa immaginaria vita, da questa strada reale ci perdiamo nel verde che s’inerpica come al colmo di un ascendere che Roma conosce qui quasi come un santuario con i suoi punti di riferimento alti: l’Osservatorio astronomico, l’Hilton. Gli stessi che immaginiamo solcati da una Gadda diretto in RAI. I vertici della città hanno verde per chi non ne ha e grandiosità come se la città ne avesse bisogno. Una delle caratteristiche di Roma, a pensarci bene, è la compresenza di questi opposti: l’alto e il basso, il ricco e il povero, il potente e l’ultimo. In una città così anche una morte illustre può e deve avere la banalità della fine. Che diventa il segreto del perdurare. Del verde e nel verde di Monte Mario. E sotto di sé.

Da fare
Birra e mangiare da Atlas Coelestis – via Malcesine, 41 – tel. 06 35072243
Non per tutte le tasche ma si mangia bene al ristorante Camilluccia – via Mario Fani 113 – tel. 06 3014342
Una sosta a via Fani dove fu rapito Aldo Moro lo richiede la storia più che la politica.

Di roberto carvelli

Founder e direttore di "Perdersi a Roma" collabora con Il Messaggero, il Venerdì e Nuova Ecologia. Ha pubblicato libri di prose, poesie e narrativa di viaggio tra cui "Letti" (Voland), "AmoRomaPerché" (Electa-Mondadori), "La gioia del vagare senza meta" (Ediciclo), "Fùcino" (Il Sirente), "Il mondo nuovo" (Mimesis), "Andare per Saline" (Il Mulino) e "I segni sull'acqua" (D editore).