Un’americana al Vittoriano (Il sottotitolo dovrebbe essere: una riflessione su uno dei monumenti più celebri e più discussi della città a margine della visita all’originale mostra Barbie the Icon).
Una delle bionde più famose del mondo è in vacanza in città.
In un afoso e sonnacchioso pomeriggio di mezz’estate mi perdo fra turisti in bermuda e assaporo il silenzio irreale dei Fori Imperiali al netto delle auto (esperienza a quanto pare già non più replicabile). Mi sto recando a fare visita alla bionda di cui sopra, oscuro oggetto del desiderio della mia infanzia.
“Nooooooo!” Ho pensato quando ho scoperto che a Milano le avevano dedicato una mostra. Credevo che ormai Barbie (perché è di lei che sto parlando) fosse definitivamente tramontata e invece è ancora in auge, seppur con fatturati pericolosamente calanti.
Comunque me ne sono dimenticata fino a quando la mostra è sbarcata a Roma. Ho continuato ad ignorarla col sopracciglio alzato fino a quando mi sono resa conto che è stata allestita negli spazi espositivi dell’Altare della Patria. E la cosa mi ha fatto sorridere e in un certo senso mi è sembrata interessante. “Barbie è molto più di una semplice bambola. È un’icona globale”. Scrivono per presentare la mostra. Aggiungerei: è un’icona di femminilizzazione globale.
E dove l’hanno piazzata? Proprio dentro al complesso Monumentale dedicato a Vittorio Emanuele II, il primo re d’Italia e Padre della Patria! Patria… anche questa parola (femminile nella nostra lingua) viene da pater, il padre… e dunque l’uomo. E dal 1921 il monumento è anche sepolcro del Milite Ignoto. Ancora uomini, tutti, i combattenti della Prima Guerra Mondiale che quel soldato anonimo rappresenta. Un monumento “maschio” insomma.
Eh sì. Proprio dentro la cosidetta Torta Nuziale o Macchina da Scrivere, che dir si voglia, contro cui si va a sbattere la faccia risalendo via del Corso da Piazza del Popolo. Che nelle giornate di sole ti acceca col suo marmo botticino quando arrivi ai suoi piedi da via dei Fori Imperiali.
Eppure… a me piace ricordare sempre che questo è un monumento importante. E non lo dico solo per l’innata simpatia che sento per le architetture bistrattate, ma perché penso davvero che sia una significativa testimonianza di come il nascente Stato Italiano si autorappresentasse. E di quali valori ergesse (non solo metaforicamente) a fondamentali.
Questo momumento lo difendo. Al netto della celebrazione della mascolinità italica e di un’Unità che non rappresentava il volere di tutti gli “italiani”. Al netto dell’appropriazione ideologica del Fascismo affacciato al balcone di Palazzo Venezia lì accanto (altro triste monumento alla Storia). E persino al netto delle demolizioni di edifici dal grande valore storico che furono necessarie per costruirlo. Perché anche quelle demolizioni sono il segno di una fase che l’Italia ha vissuto. Lo difendo perché se è vero che questi tre aspetti della faccenda Vittoriano fanno arricciare il naso, li considero pagine scritte del libro della memoria storica del nostro Paese. Pagine che ci dicono palesemente da dove veniamo, in generale come italiani, e rispondono (anche se in maniera meno ovvia) ad alcuni quesiti sul ruolo delle donne oggi in Italia.
Per approfondimenti sul Vittoriano e la sua storia nella Storia rimando a questo interessantissimo articolo di Matteo Troilo apparso su Storicamente .
Insomma, io non vedo solo un’ingombrante montagna bianca davanti alla quale i turisti in infradito si fotografano col bastone da selfie (orrore!). Vedo un monumento da leggere e vivere nella sua complessità.
E penso alle tante mostre che ho visto nell’Ala Brasini del Complesso Monumentale che, accanto all’Istituto e al Museo del Risorgimento, nelle sue sale ospita da tempo mostre temporanee dedicate a grandi maestri dell’arte e a tematiche di interesse storico, sociologico e culturale. E quindi ritorno a capo. All’americana a Roma di cui si parlava. E non posso negare che lei lo sia, una tematica di interesse storico, sociologico e culturale. Un’icona che forse tante donne come me, da adulte, non amano ma che non possono ignorare perché da piccole si sono imbattute nel suo mondo rosa.
Sorpresa. Alla mostra quel giorno ci sono più donne che bambine (forse le adulte che non la amano non sono poi così numerose!). Il rosa shocking impera e mi abbaglia e non nascondo un minimo di imbarazzo all’acquisto del biglietto.
Alle pareti la biografia di Barbie si intreccia con la storia del mondo. (sic!). Però è un’idea sensata e devo dire che la mostra è molto curata (e lo si intuisce nelle tante foto che ho scattato col telefono di cui riporto una piccola parte).
Due considerazioni immediate:
1) il mondo di Barbie è ben più vasto di quanto immaginassi e sapessi. Barbie ha interpretato tantissime carriere alcune delle quali generalmente riservate agli uomini: si è arruolata nelle forze armate, è andata nello spazio e udite udite…si è candidata varie volte alle presidenziali degli USA! A proposito… chi vi ricorda il taglio di capelli della Barbie candidata nella foto?
Insomma sembra non ci sia carriera a cui le bambine non possano aspirare come la loro Barbie insegna. Ma quante, tra le bambine che l’hanno sognato, sono poi davvero diventate quelle professioniste o donne di potere rappresentate?
2) Nel 1968 le hanno affiancato un’amica afroamericana di nome Christie (ah, il ’68!). Barbie stessa ha interpretato donne di tutto il mondo (nella rassegna c’è anche l’italiana coi capelli neri e il vestito da contadinotta …mi ha fatto pensare alla donna disegnata sui pacchi di una nota marca di pasta). Nel 2015 hanno introdotto 3 nuove versioni della bambola che sono “tall”, “petite” e “curvy” (la curvy la riconoscete anche nella gallery). Basterà per far pensare alle bambine che qualunque sia il loro aspetto fisico hanno un valore in quanto persone e non in quanto corpi? E che per realizzarsi nella vita professionale e affettiva non devono necessariamente essere una bionda col vitino di vespa e il seno da maggiorata?
Una scena durante la visita alla mostra mi colpisce molto: una bambina di circa sei anni vaga da una teca all’ altra sentenziando “questa bella questa bella, questa brutta,questa bella”. L’accompagna il padre, presente e reattivo (vivaddio!), che prova a farle spiegare perché le belle siano tali secondo lei. E lei dopo averlo variamente ignorato risponde seccamente “perché sono belle!”. Ovvio.
L’esperienza apparentemente bizzarra di una mostra sul giocattolo femminile per eccellenza dentro un luogo così austeramente maschile non posso che definirla molto positiva. È stata un confronto col mio pregiudizio nei confronti di questa ‘donna’. E lo stimolo per leggere di nuovo “Ancora dalla parte delle bambine” di Loredana Lipperini (l’ho riletto insieme al suo libro antenato, “Dalla Parte delle Bambine” di Elena Gianini Belotti una pietra miliare sull’argomento).
Scrive Lipperini su Barbie: “Rappresenta la donna secondo un concetto maschile: priva di quelle parti “segrete e terribili” che tanto indignavano, secoli fa, pensatori e padri della Chiesa. Incarna la femminilità ideale, muta e sigillata.[…] quel mondo perfettamente coerente e organizzato: ma fatto soltanto di acquisti e di ambizioni minime”.
Eh. Non so perché ma degli anni ’90 (gli anni della mia infanzia) mi ricordo solo Barbie vestite da principesse o con minigonne inguinali e décolleté col tacco alto. Invariabilmente bionde. Chissà…forse c’erano decine di Barbie presidentessa USA o Barbie chirurgo nei negozi di giocattoli ma io guardavo solo le Barbie fashion o principesse. Chissà. Mi riservo di fare un giro nei negozi per andare a caccia di Barbie curvy, manager, afroamericane etc e vedere in quanti esemplari sono rappresentate.