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Lillo, da San Lorenzo a Termini

“Lillo è convinto che la strada che va da San Lorenzo alla Stazione Termini sia una delle più belle che si possano percorrere a piedi” è l’incipit di “Lillo il conquistatore”, un racconto che sembra seguire la misura del decennio.

Lillo il conquistatore
di Federico Platania

Lillo è convinto che la strada che va da San Lorenzo alla Stazione Termini sia una delle più belle che si possano percorrere a piedi. Lillo ha diciassette anni ed è convinto di molte cose, ma di questa in particolare.
Ogni volta che va a trovare la zia, che abita in un vecchio palazzo di via Tiburtina, si gusta quella lunga passeggiata che lo conduce fino ai capolinea degli autobus.

Lillo saluta la zia e il cugino Daniele, di quattro anni più grande di lui e che, nonostante questo, gli ha fatto compagnia per tutto il pomeriggio. Li ringrazia per la cena, ascolta le premurose raccomandazioni, infila le cuffie del walkman nelle orecchie, fa partire la musica e scende di corsa le scale.

Lillo inizia a camminare con passo sicuro ed è sempre come se vedesse per la prima volta i luoghi che attraversa. San Lorenzo, e il suo comunismo dolce e folle, Via Tiburtina e i tavoli di legno delle pizzerie, i lavavetri balcanici, l’ufficio postale con i neon fulminati e le vetrate infrante, i barboni, i marocchini che sfidano ogni ideologia, la grande navata futurista, l’eco rugginosa degli altoparlanti, i tassisti abusivi, l’ultima corsa degli autobus. E ancora i barboni, la puzza di piscio e la notte nera.

Roma è questa, pensa Lillo respirando forte, Roma è questa, non via del Corso.
Quel pomeriggio Lillo ha parlato molto con suo cugino Daniele. Daniele studia filosofia orientale e ha la ragazza. Daniele oggi ha mostrato a Lillo la fotografia di Mara e Lillo ne è rimasto affascinato. Si sentiva emozionato e anche un po’ invidioso e si è convinto che suo cugino Daniele è davvero forte e che un giorno, molto presto, diventerà come lui.

Su uno dei libroni di Daniele, oggi Lillo ha letto una frase bellissima: “Chi conquista gli altri è potente, chi conquista sé stesso è invincibile”. Lo ha detto un filosofo orientale di cui Lillo ha già dimenticato il nome. Adesso che è quasi arrivato al capolinea del 170, Lillo si ricorda di quella frase e prova una limpida gioia. Quella frase gli piace moltissimo. Non sa perché, ma la ripete mentalmente in continuazione e la fa andare a tempo con la musica.

Ripensa ai conquistatori che ha studiato a scuola, Alessandro Magno che scioglieva qualsiasi nodo con un colpo di spada, o Pizarro, che era un semplice guardiano di porci, ma che con poco più di cento uomini riuscì a sconfiggere il re del Perù.
Lillo è ormai arrivato al capolinea dell’autobus che lo riporterà a casa. Sta per salire, ma vede una ragazza che lo chiama agitando un braccio, una ragazza che non conosce. Lillo è sorpreso, si guarda indietro per vedere se la ragazza sta chiamando qualcun altro. No, cerca proprio lui.

E’ una ragazza carina. Sta appoggiata a un motorino verde e blu. Lillo si incammina curioso verso di lei e solo quando vede le labbra della ragazza che si muovono senza sentire la voce si ricorda che ha ancora il walkman acceso. Si toglie velocemente le cuffie, scusandosi.
“Dicevo – riprende la ragazza – mi puoi dare una mano a far ripartire il motorino?”.
Lillo resta a bocca aperta. Guarda la bella ragazza che avrà all’incirca la sua stessa età, guarda il motorino verde e blu e poi dice “Io… veramente… non ci capisco molto di motorini…”.
E’ proprio così, Lillo non ci capisce molto di motorini, anzi, a dire il vero, non ci capisce niente. Guarda con ansia quel trabiccolo a due ruote sperando, in questo modo, di imparare tutto subito, con uno sguardo solo, e fare bella figura con la ragazza.

“Devi solo sbloccare il cavalletto – dice lei, un po’ sorpresa dall’esagerato imbarazzo di Lillo – vedi, si è incastrato e io ho la mano che mi fa male” conclude mostrando un polso bendato.
Lillo afferra titubante il motorino e, come ha visto fare ad altri, con il piede cerca di alzare il cavalletto, compiendo con cautela quell’azione che non ha mai eseguito.

“Ma non così – dice la ragazza ridendo – col piede l’avrei saputo fare anch’io. Si è incastrato, ti ho detto. E bisogna sbloccarlo con la mano”.
Lillo cerca una strategia, tiene fermo il manubrio con la mano sinistra, si accovaccia, cerca di muovere il maledetto cavalletto bloccato. Ma poi pensa, e se cade il motorino? Se il cavalletto si rompe? Teme una catastrofe. Niente da fare, si arrende. “No, guarda, non sono capace”.

La ragazza sta ormai sghignazzando senza vergogna. “Oh madonna santa!” dice ridendo. Lillo vorrebbe sprofondare.
In quel momento si avvicina un ragazzo più grande di lui, in tutti i sensi. “Qualche problema?” chiede. La ragazza illustra di nuovo la situazione. Il ragazzo sorride, si china, sblocca il cavalletto e si rialza. “Ah! Grazie mille – dice la ragazza montando sul sellino – meno male che c’eri tu…” e fila via senza degnare Lillo di uno sguardo.
Il ragazzo torna da dov’era venuto. Lillo resta fermo, sbigottito, con le cuffiette del walkman che gli pendono dal giubbotto come due coglioncini di topo. E nel frattempo l’ultimo autobus è già partito.

Rassegnato a tornare a casa a piedi, Lillo ripensa ai conquistatori. Quando aveva letto la frase sul libro, e quando più in generale pensa alla sua vita, a diventare grande e forte, Lillo pensa soprattutto alle parole grosse. Lillo ha sempre creduto che crescere volesse dire saper dosare la durezza con la tenerezza, allenare il cuore all’amore e alla rabbia, imparare la misura della bontà e quella più oscura del coraggio, distinguere il tempo della riflessione da quello dell’allegria. Non pensava che c’entrassero qualcosa anche i cavalletti dei motorini.

Adesso Lillo ripensa a Pizarro e ad Alessandro Magno. Pensa alla ragazza carina, pensa che gli sarebbe piaciuto che fosse la sua ragazza, poter mostrare la foto al cugino Daniele e dire “siamo forti noi con le ragazze, eh?”. Pensa al cavalletto bloccato. E pensa che tutto sommato le campagne napoleoniche sono state più semplici.
Lillo cammina sentendosi meno importante delle pietre della strada. Ed è così. Lui è meno importante delle pietre della strada. E tutte le cittadine e i cittadini di Roma lo sanno e cantano dolci ballate contro di lui.
Lillo è lontano dalle cose, lontano in assoluto, molto più lontano dell’Età della Pietra o della Costellazione di Orione.

Lillo si sente un armonioso cumulo di difetti, sospeso nel vuoto, a un passo dalla verità. Irraggiungibile.
E il mondo, discreto, ride di lui, dietro i vetri delle sue gloriose metropoli.

Scritto nel 1995, più o meno. Pubblicato nel 2006 nell’antologia di racconti della Giulio Perrone Editore, “Con gli occhiali da sole anche di notte. Scatti suburbani”. Riesce oggi in un multiplo ancora.

Di federico platania

Scrittore romano ha pubblicato la raccolta di racconti "Buon lavoro" (2006) e i romanzi "Il primo sangue" (2008) e "Bambini esclusi" (2012). Nel 2013 esce per Gallucci il romanzo "Il Dio che fa la mia vendetta".