Luciano Re Cecconi ovvero la storia poco felice di un grande campione della Lazio dello scudetto in un libro di Guy Chiappaventi “Aveva un volto bianco e tirato. Il caso Re Cecconi” pubblicato dalla Tunué che ringraziamo per l’uso dell’immagine di copertina.
Perché un giocatore, giovane, bello, ricco – dopo essere stato carrozziere e figlio povero di un muratore – e famoso, vincente (ha alle spalle persino uno scudetto, cosa che a Roma non capita tutti i venerdì sia in sponda giallorossa che biancoceleste, e tre presenze in nazionale) con due figli piccolissimi e una moglie di ventiquattro anni, una nuova casa appena comprata in un comprensorio signorile di Roma Nord, appena ristabilito da un lungo infortunio e perciò tutto concentrato sul suo rientro in campo pochi giorni dopo, dovrebbe fare uno scherzo a un gioielliere mimando una rapina e finire come può finire una tentata rapina che finisce male? Se lo chiede Guy Chiappaventi in “Aveva un volto bianco e tirato. Il caso Re Cecconi” ricordando quella testa gialla colorata persino nella squadra della Lazio di allora del Subbuteo. Re Cecconi: un cognome che è già una incoronazione.
Questa storia si sviluppa lungo la via Flaminia vecchia dove praticamente ogni sera l’idolo della Lazio anni 70 passa per i negozi ritornando nella sua casa di Collina Fleming. Tutte le sere anche la sua ultima.
Il libro scava nella storia di Re Cecconi come per capire cosa è andato storto in quel gioco fatto con il compagno di squadra Ghedin e un amico in un negozio di via Nitti. Ricerca indizi come quello che dice che il calciatore avesse fatto battezzare il figlio Stefano dal macellaio di via Flaminia vecchia, con il negozio quasi all’angolo con la gioielleria di Tabocchini, l’uccisore poi prosciolto, che abitava sulla Cassia, nel quartiere Tomba di Nerone, lo stesso dove viveva il gioielliere, vicinissimo a lui.
I fili sono tanti, gli indizi pure. La mano ha mimato la pistola? La voce ha detto “è una rapina”?
La storia di Re Cecconi si presta poi al racconto di un’epoca. Quella delle rapine all’ordine del giorno di una giorno normale appunto. Un giorno romano. In una gioielleria. In un’epoca di intimidazioni e spari.
Eppure il caso Re Cecconi apre riflessioni e remissioni almeno quanto condanne come l’editoriale a firma Alberto Bevilacqua sul “Corriere della Sera” del 7 febbraio 1977 che è intitolato “Se fossi Tabocchini, preferirei essere Re Cecconi”. Ma il calciatore non c’è più e forse oggi anche a molti laziali – quelli calcisticamente nati nell’era Cragnotti e ancor più a quelli dell’era Lotito – dice poco o nulla.
Pochi sanno che fine abbia fatto Tabocchini, pochi sanno anche dove sia seppellito Re Cecconi (questo ve lo diciamo va: a Nerviano, dove era nato, vicino a Milano). Forse molti hanno smesso di chiedersi. Non Chiappaventi che si interroga persino sul perché non sia stata ritirata – come usa in casi simili – la maglia numero 8 che indossava il biondo dalla rosa biancoceleste più forte di sempre o quasi.
Perché è morto il centrocampista laziale? Forse, come dichiara Luis Vinicio, allenatore della Lazio, perché era troppo felice? Ed era proprio vero che uccisore e ucciso non si fossero mai incontrati prima? Il libro ricostruisce e svela come in un giallo.
Un giallo che ha un giorno preciso e assurdo. La cronaca di quel 18 gennaio è già surreale: l’allenamento del martedì allo stadio Flaminio è andato bene. Luciano è finalmente a disposizione della squadra, la domenica seguente contro il Cesena è pronto per tornare in campo. Ma … ma c’è un libro che continua tutti i nostri e speriamo i vostri punti sospensivi. Da riempire.
Qualche immagine prima di lasciarci è giusto rivederla.