Liliana Madeo riconsegna alle stampe il suo volume “Donne di Mafia” (Miraggi), un testo utile per capire il lato femminile delle organizzazioni mafiose.
La mafia non è sparita, non è un pezzo ormai da museo, ricordo di un passato analogico fermo agli anni ’90. La mafia è ancora presente, si manifesta in altre forme e ancora bisogna parlarne.
Anzi, gridare. Come fa mirabilmente l’associazione Libera dal 1995 facendosi promotrice non solo di un grido “contro” la mafia ma anche a favore della legalità.
Un tema eternamente caldo di cui non smettere mai di parlare. Soprattutto alle nuove generazioni. Lo scopo è cementare, sostenere in alcuni casi costruire una nuova cultura della legalità più forte di qualsiasi fascino la criminalità possa esercitare anche attraverso le rappresentazioni mass mediali.
Proprio un anno prima che nascesse Libera, la giornalista Liliana Madeo dava alle stampe per Mondadori il suo volume “Donne di Mafia” recentemente ripubblicato da Miraggi per la collana scafiblù.
Un libro preziosissimo. Il primo ad indagare il rapporto tra Cosa Nostra e le donne. Se pensiamo alla mafia ancora oggi ci immaginiamo solo schiere di uomini. E invece con estrema precisione e una penna brillante Madeo ci racconta quante e quali donne hanno scritto la storia di questa organizzazione insieme ai loro uomini: mariti, padri, fratelli, amanti.
Un libro che si legge tutto d’un fiato. Storie vere emerse da una ricerca profondissima e estremamente accurata condotta dall’autrice tra documenti processuali, testimonianze dirette e pubbliche deposizioni. Storie vere ma raccontate con una rara capacità narrativa che mantiene chi legge incollato alle pagine.
In un attimo sei in Sicilia (e in molti altri posti del mondo) accanto a loro e riesci a guardarle senza il carico del giudizio. Perché Madeo da grande giornalista qual è riesce a restituire con grande oggettività i loro ritratti.
È un racconto caleidoscopico in cui le donne descritte sono diversissime tra loro. Alcune sono fedeli complici, altre sono vittime, molte sono protagoniste. E le protagoniste non sono comprimarie che si muovono modeste e operose dietro le quinte.
Calcano la scena spingendo gli uomini a pentirsi e collaborare con la giustizia. O abbandonando i pentiti qualora non condividano la loro scelta di abbandonare l’organizzazione criminale.
Questa è la potenza del libro libro di Madeo: farci vedere la mafia da un altro punto di vista. Un punto di vista inedito all’epoca della prima edizione e ancora oggi poco esplorato.
Un ritmo serrato, dicevamo. Fino all’ultimo mirabile ritratto. Quello di Rita Atria testimone di giustizia suicidatesi a soli 17 anni dopo l’attentato a Borsellino che lei considerava una figura quasi paterna.
Tutta la forza di questo ritratto emerge fra le righe di un tema scolastico di Atria che Madeo riporta:
“Finché giudici come Falcone, Paolo Borsellino e tanti altri come loro vivranno, non bisogna arrendersi mai e la giustizia e la verità vivranno contro tutto e contro tutti. L’unico sistema per eliminare la piaga della mafia è rendere coscienti i ragazzi che vivono la mafia che al di fuori c’è un altro mondo fatto di cose semplici ma belle, di purezza, un mondo dove sei trattato per ciò che sei, non perché sei figlio di questa o quella persona, o perché hai pagato il pizzo per farti fare quel favore. Forse un mondo onesto non esisterà mai, ma chi ci impedisce di sognare? Forse se ognuno di noi prova a cambiare, forse ce la faremo.”