Per anni trovare un libro Nizar Qabbani era più che una spesa un’impresa. Per fortuna riesce la sua autoraccolta definitiva da Jouvence.
Ma, sempre per fortuna, io avevo avuto modo di incontrare le poesie di questo poeta siriano in questa edizione introvabile dell’Istituto per l’Oriente. In fotocopia perciò con una copertina in cui il verde diventava scala di grigi, riproduzione di una riproduzione. L’ho conservata tra i traslochi poi nell’ultimo l’ho persa e mi ripromettevo di riaverla da chi me l’aveva passata.
Poi ecco finalmente il nuovo interesse della Jouvence e quella che, di fatto, è di Qabbani la raccolta definitiva, i versi scelti da lui medesimo: “Le mie poesie più belle” (“Ahla qasa’idi” il titolo originale uscito per la casa editrice che lo stesso Qabbani ha creato in vita a Beirut) raccoglie, infatti, i componimenti che il poeta definì le sue poesie-chiave, “quelle che lasciano dietro di loro domande…fiamme…fuoco…e fumo”. La traduzione si deve a Nabil Salameh e Silvia Moresi.
Se, come scrive Nizar Qabbani “La poesia è la patria delle cose che si ribellano a loro stesse, e delle forme che rifuggono la propria forma” non si può che omaggiare la vita obliqua di questo sensibile cantore delle gioie dell’amore. Oggi più che mai che il mondo guarda con preoccupazione o paura al mondo arabo.
Ma chi era Nizar Qabbani? Un poeta siriano considerato tra i più importanti poeti del mondo arabo moderno, nato a Damasco nel 1923 e morto a Londra nel 1998. La sua poetica di rottura rispetto ai canoni classici, incentrata su temi universali come l’amore, e scomodi quali il sesso e la liberazione femminile, riesce, ancora oggi, a ipnotizzare il pubblico arabo di ogni ceto e, aggiungiamo, anche quello curioso di conoscerlo. Qabbani, che durante la sua vita ricoprì anche molti incarichi diplomatici in paesi arabi ed europei fondò a Beirut, nel 1966, la casa editrice Manshurat Nizar Qabbani con la quale pubblicò la maggior parte dei suoi lavori. Compreso quest’ultimo appena tradotto da Jouvence, che speriamo inauguri una serie.
Nabil Salameh, cantautore e giornalista nato a Tripoli del Libano da rifugiati palestinesi e fondatore del gruppo Radiodervish, ha dedicato a Nizar Qabbani un lavoro di teatralizzazione musicale che aiuta a (far) incontrare i versi del poeta siriano. Lo fa anche nell’ausilio alal traduzione di questo volume.
“Il tuo destino è partire, sempre, senza vele,
nel mare dell’amore.
Amerai milioni di volte
e ritornerai, sempre, come un re sconfitto”.
Così dice “L’indovina” vaticinando il dolore dispari dell’amore. Perché sa che l’amore è sofferenza e il poeta lo canta. Lo testimonia in un’antitesi disperata che giunge come una “Lettera da sotto il mare”.
“Ti desidero,
insegnami a non desiderare…
Insegnami
come sradicare dal più profondo le radici del tuo amore…”
Il mondo di Nizar Qabbani vive di questo doloroso dilemma che va testimoniato a futura memoria, “A un’alunna”…
“L’amore è salpare senza una nave
e sentire che non esiste approdo.
L’amore è un fremito che rimane sulle dita,
una domanda sulle labbra sigillate.
L’amore è il fiume di nostalgia nel nostro profondo
dove crescono vigneti e grano.”
E al mondo intero. Perché amare è la più consapevole delle sofferenze. Ma necessaria e non sanzionabile come insegna “Superstizione” irridendo gli insegnamenti del senso del peccato, quelli che cercano di far cospargere di cenere persino il ginocchio della donna. Meglio allora il trionfo dell’apparente proibito che è in realtà liberazione (“Il tuo seno”), la vocazione della rivoluzione poetica.
“Non aver paura, il bacio dei poeti non è proibito.
Non essere ingiusta e libera i tuoi due piccoli progionieri”.
Impegno che rimbalza anche da “Al tuo seno vanitoso”:
“Ho spalancato grandi porte davanti a te con la mia poesia”.
Poesia perché dell’amore non è possibile narrazione. Lo può cogliere la sintesi della “Poesia maligna”.
“Una storia d’amore che non si può narrare
perché per l’amore non c’è spiegazione”.
Come non c’era spiegazione e non c’è ancora della poca conoscenza e traduzione di questo poeta.