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Paesi e pesi

Paesi e pesi. Come misurare il tempo e lo spazio urbanistico attraverso i versi di Franco Arminio ora raccolti in “Resteranno i canti” (Bompiani).

Franco Arminio ci consegna i nuovi versi di “Resteranno i canti” (Bompiani).
Di nuovo paesi, tempo, ricordi.
Come nella poesia che vi offriamo: L’anoressia demografica. Ma prima una nota di lettura.

Arminio si è fatto conoscere come uno degli ultimi cantori dei luoghi abbandonati. Prima di lui forse solo Tonino Guerra aveva eternato in Valmarecchia questa fase di rilascio che stavano vivendo i villaggi abbandonati dall’inurbamento. M non è un fatto demografico, no.

Il punto è sentirli in sé questi luoghi:”Io paese” dice in un verso lo scrittore di Bisaccia. E dice tanti Io, come quelli della famiglia Fede, una genelaogia di migranti specializzati sarti che, partendo, lasciano un segno: “Oggi al paese nessuno sa più cucire / e l’emigrazione dei sarti è finita”.

Lo sguardo di “Resteranno i canti” non è però residuale ma civile “la scuola dovrebbe fare una cosa sola: / insegnare ai ragazzi a raccogliere i frutti”. Perché i gesti disimparati sono davvero pesanti per manchevolezza.

Ma, a scanso di equivoci, il poeta che dice “voglio bene ai paesi. / Voglio bene a quelle case sgraziate / che ti accolgono alla periferia. (…) e a quel cane che rovista in una busta vuota” può poi dire con equanimità “Era grande la noia di stare nei paesi”. Perché all’autore di questi versi, in definitiva, piace “la vita scossa” e non la lentezza. Quindi l’intenzione non è certo oleografica né pittoresca di cantare i borghi e il loro tempo. I paesi hanno da insegnare molto ma non certo (e solo) la presunta slow life.

Tutto sembra in questo abbandono presagire la morte, la fine? No, dice Arminio: “Ma pure queste sono apparenze, / il cuore della morte non è qui”. Perché “la vita in fondo / è un falso allarme”. E, nella “Lettera ai ribelli che verranno”, lo dice come un monito di trascendenza anarchica “Disobbedite / alla vita e alla morte”. La profonda vitalità dell’abbandono è, in definitiva, un motore di ricerca potento quanto Google: “Tanto alla fine “dei tuoi giorni / resteranno le tue imprudenze, / più che gli indugi / resteranno / i canti”. Ed eccoli allora i canti dei paesi abbandonati di Arminio e della sua anoressia demografica che vi citiamo grazie alla cortesia di editore e autore.

L’anoressia demografica

I banchi di scuola finiscono in soffitta,
l’ufficio postale è solo una vecchia insegna,
l’ultimo barbiere è morto,
il prete fa solo il riassunto della messa,
le case della piazza sono chiuse,
quelle dei vicoli stanno cadendo,
la strada che arriva al paese
è la festa delle buche, la casa cantoniera
è abbandonata, l’unico luogo
dove c’è un poco di fervore è il cimitero.
Ma pure queste sono apparenze,
il cuore della morte non è qui
è altrove.