Questo post s’intitola: guarda la foto. Ma dentro si parla di commesse e romanzi, di esordi e nuove forme dello schiavismo e della rivolta.
Anni fa di tutte le categorie merceologiche dello sfruttamento focalizzai la mia attenzione sulle commesse.
Il libro si intitolava “La rivoluzione spiegata alle commesse” e usciva come seguito di un romanzo che portava quell’orizzonte di intenzioni come sottotitolo.
Il titolo era “Bebo e altri ribelli”. Il primo romanzo era uscito per un valoroso editore trentino “non luoghi libere edizioni” (e non è un caso che mi riviene in mente ora che sta per uscire un nuovo libro per un editore che me lo ricorda nella stessa linea politica e un certo attivismo molto orizzontale anche nel mondo letterario).
Il secondo volume, per inciso e storicismo, usciva per Coniglio editore ed era stato preceduto da una serie di comunicati e un’intervista a l’Unità in cui dichiaravo di stare cercando precari per raccontare le loro storie si sopraffazione del nuovo capitale.
Iniziai a scrivere quei microracconti per Il Giuoco d’Assalto di Roberto Roversi e per il sito di Non Luoghi.
Curiosamente in quel periodo uscirono dei libri che avevano quella stessa idea di casting per lo storytelling (parola allora non abusata e forse pure poco usata) ma come spesso accade le idee sono nell’aria. E l’aria è a disposizione di tutti.
Dopo questa lunga e forse inutile premessa eccomi a leggervi una foto che si legge peraltro da sola.
C’è scritto CERCASI COMMESSA. Evidente. Ma il punto è: non cosa c’è scritto ma come. Perché in questa foto il cosa è il come. Massmediologicamente se io scrivo una cosa in un modo dico delle cose.
Le dico implicite. Uso un pennarello blu. Uso una scrittura antica e anziana. Uso un pennarello a punta rettangolare. Uso attenzione ma non sono certo lì a spostare il normografo.
Forse potrei dirvi dove è stata scattata la foto perché intanto che leggete ognuna di voi, ognuno dice: l’ho visto anche io quel biglietto.
Non vi dirò dnque dove ma perché. Una serie di perché che sono il senso di questa foto e di questa lunga didascalia.
Perché è importante che pensiate che questo è non un lavoro ma un lavoretto.
Perché se lo avessi stampato col PC vi sareste potute illudere che è una lavoro come un altro.
Perché è un lavoro solo per ragazze giovani.
Perché non serve che vi facciate illusioni sulla sua capacità di rendervi appagate.
Perché dovrete semplicemente entrare e chiedere, non certo rispondere a delle richieste di ruolo di qualsiasi tipo (una lingua, uso del PC ecc.).
Perché non è un annuncio su un giornale e non c’è una giornata dedicata alle selezioni.
Perché niente è da selezionare se non la disponibilità oraria.
Perché quel biglietto è lì da sempre, lo leviamo solo quando troviamo qualcuna che resiste più di un mese.
Perché a fine giornata i piedi fanno male ed è meglio mettere delle scarpe con la suola di gomma alta.
Perché bisogna avere un buon guardaroba e truccarsi o comunque essere curate.
Perché essere gentili è necessario.
Perché il cartello è lì in mezzo ai vestiti come uno spillo, una targhetta, un prezzo. Un rettangolo piccolo. Nulla di impegnativo.
Perché fare la commessa non ha nessun impegno richiesto.
Perché la paga è bassa ma in fondo è perché il biglietto è piccolo ed è scritto con un pennarello che avevamo lì nel cassetto su un cartoncino ritagliato da una scatola.