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Recensire il prima e il fuori di un libro

Una recensione esterna o laterale o presuntiva. Parliamo del libro di Vins Gallico e Fabio Lucaferri “La Barriera” (Fandango libri) rimanendo un passo prima. O dopo ovvero alle parti accessorie del testo.

Prima che inizi il libro di Gallico e Tagliaferri, che ha un titolo (interessante porre graficamente i due autori a cavallo dello stesso) secco ma evocativo ci sono delle pagine bianche, il colophon. Poi arriva questa dedica: “a Nico e ai bambini che costruiranno un futuro abbattendo i muri e ad Aylan e a tutte le vittime delle barriere e dell’idiozia (dis)umana”. C’è già tutto: la verità, dell’ispirazione almeno. C’è pure il bisogno di chiamare le cose con dei nomi che significhino qualcosa a qualcuno di preciso. C’è anche l’intenzione e la poetica: la volontà di non lasciare le cose con il solo loro nome, la voglia – sembra un’esigenza – di costruire un destino con la voce. Di anticipare un futuro pensando al presente.

Poi arriva un esergo (l’esergo – scusate l’ovvietà per coloro ai quali la rappresenta – sono quelle citazioni che si antepongono al testo per chiamare a correo o a protezione un nume piccolo o grande espresso in una citazione). Qui è Gwynne Dyer. Chi è Gwynne Dyer? Ci viene in soccorso il sito di “Internazionale”: “È un giornalista canadese che vive a Londra. Autore di libri, documentari e programmi radiofonici, scrive una column di politica internazionale che è pubblicata in più di cento giornali di tutto il mondo”. La versione inglese di wikipedia ci sarebbe venuta in soccorso con una sfilza di giornali mondiali con cui collabora e una serie di libri di cui è autore che spesso portano la parola “war” dentro il titolo come un’ossessione esegetica.

Ma non abbiamo detto ancora la frase che anticipa “La Barriera”. Questa: “L’esperienza ci insegna che l’unico modo di chiudere un confine è uccidere le persone che tentano di attraversarlo”. Che, se ci pensate, è una frase che contiene diverse tristi pre-verità e verità storiche, inconfessate, che vorremo sconfessare.

Ecco. Ci siamo. Siamo quasi dentro al libro. Se avrete tempo e voglia di leggerlo capirete quanto storia personale e storie universali (ma ancor prima il viceversa) siano in linea con tutte queste premesse che si aprono con questa frase:

“Toro ascendente Scorpione – Capra secondo l’oroscopo cinese –, Souleymane N’Doye nasce a Tambacounda nel maggio del 2003, in un’epoca in cui il Senegal affida la propria sopravvivenza alla produzione di arachidi, birra e olio, all’allevamento di ovini e bovini, oltre che ai giacimenti di fosfati minerali di titanio. Sottoterra dovrebbe nascondersi il petrolio. Un’economia poco più che modesta ma, comunque, con numeri superiori alla media africana. Forse questo essere poveri senza essere miserabili e la consapevolezza di un margine di miglioramento – se soltanto le trivelle riuscissero a scovare l’oro nero – sono tra le possibili attenuanti alla mancanza di progettualità politica del paese, caratteristica che a sua volta ha come specchio la sbornia agonistica di quel periodo”.




Ora sta a voi proseguire. Cercare di capire cosa Gallico e Lucaferri hanno cercato di raccontare.

Prima c’era stata la cover. L’avete vista no? C’è un bambino con un maglione colorato. Guarda il mare. E’ improbabile che il QR Code sia un tatuaggio – i bambini non si tatuano. Forse è solo un invito a vedere la sua storia. A farci trasportare dentro la sua vita. Di spalle. Senza che questo significhi la viltà frequente delle storie vere o veridiche messe in pasto a tabloid o televisioni. Di faccia ma con tutto il clamore della festa di dolore che contiene quel tipo di racconto.

Eppure quel tatuaggio ha una sua oggettività parlante che però omettiamo. Di sicuro l’anno della storia, il 2029 ci mette sulle piste del genere distopico (segnato anche dalla scansione dei capitoli in sovrabbondanza numerica). Il luogo – il bacino del Mediterraneo – ci porta a una realtà invece esistente (un po’ come nell’immagine-ossimoro di copertina) il resto lo scoprirete.

Prima della fine del libro una nota, un nuovo testo collaterale, esplicativo: “Il buddhismo praticato da Flora è quello di scuola theravāda, diffuso principalmente nel Sud-est asiatico (Thailandia,Laos, Cambogia, Sri Lanka e Birmania)”.

E ora, prima di licenziarci, prima dei nostri saluti, i saluti del libro. Non sempre in narrativa ringraziare è un’attività nobile e non funziona sempre come con il maiale. In questo caso forse sì, si può conservare. Per capire cosa precede un libro – che è un po’ quello che abbiamo cercato di recensire – che di solito è solo alla fine. Ecco a voi parte del commiato degli autori e con noi il nostro con l’invito a leggere il loro libro:

“(…) Grazie alla mia agente Arianna, e al mio socio Fabrizio.
Grazie alla masnada di via Annia, che mi ha accolto con
grande abbraccio, L’or- e -Ma, Elena e Massi.
Grazie a Fabio, con il quale abbiamo ritinteggiato una casa
a Centocelle, passato strani periodi di isolamento in foreste
crucche, fatto riunioni a Villa Borghese, e alla fine è venuta
fuori la Barriera.

Grazie ad Anna e Nico, perché mi hanno portato oltre il
confine, e l’infinito me lo scarabocchiano e lo colorano al
di qua della siepe.
Vins

Il mio grazie va ad Andrea per avermi insegnato il peso del
sì e soprattutto del no, perché non ha mai tollerato barriere
e non ha avuto paura fino in fondo. Senza di te non sarei
qui.
Fabio”