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Sport a Roma

Questo estratto da “Lo sport e il corpo” di Filippo La Porta è uscito sul nuovo numero de L’immaginazione (Manni editore), il 330 di luglio-agosto 2022. Ringraziamo autore ed editore per averlo concesso.

Tra Roma – dove vivo da sempre – e lo sport c’è un legame antico, viscerale: si pensi alla sua civiltà, alla sua storia sociale e urbanistica, alla mappa sterminata di stadi, campi e campetti, palestre, piscine, oggi anche di prati su cui giocano a cricket i ragazzi del Bangladesh.

Eppure qualche decennio fa, per il radicalismo del Sessantotto, fare sport veniva – assurdamente – considerato “di destra”: esaltazione della competitività e della virilità, culto del corpo statuario e delle virtù guerresche (secondo la retorica fascista).

L’intellettuale doveva essere occhialuto, un po’ ingobbito e perlopiù malmesso. Quella avversione, basata su un gigantesco equivoco, esprimeva però un problema reale: tra lo sport e la cultura (nonostante lo slogan “libro e moschetto”) si era creata una frattura che andava ricomposta.

Occorre ricordare come Platone, lungi dall’essere il vegliardo canuto dipinto da Raffaello, era un pugile provetto, con l’orecchio mozzato in un incontro, cosa di cui andava fiero. E nella celebre Accademia per metà del tempo si combatteva e gareggiava.

Per parlare di sport a Roma, e riavvicinarlo – come è naturale che sia – alla cultura, all’arte, all’architettura, alla filosofia, alla vita della comunità, partiamo dalle sessanta statue dello stadio dei Marmi, colossi di pietra provenienti da tutte le provincie italiane agli inizi degli anni Trenta: Nuotatore, Scalatore, Discobolo, Lottatore, Timoniere, Maratoneta, Velista, Lanciatore della sfera, Giocatore di pallone…

Questa almeno la “mossa” felice di un illuminante saggio di Francesco Longo, Il cuore dentro alle scarpe (edizioni 66thand2nd), su sport e storie a Roma: mitologie, figure simboliche, strutture e impianti (alcuni quasi sconosciuti: alle Terme di Caracalla è nascosta una pista di atletica in tartan omologata, di 400 metri), campioni leggendari (Pietrangeli & Panatta, Menichelli…), trasformazioni recenti (lo sport romano è divenuto multietnico e ancor più variegato).

La prima e ultima statua che incontriamo è Ercole: immagine della forza, però temprata e regolata dall’esercizio (molti sport moderni servivano a scongiurare le risse nei college inglesi).

In pole position restano il calcio (solo a Roma esistono 9 radio che parlano esclusivamente di calcio), la boxe (esplosa negli anni Venti, all’epoca del campione Jacobacci, di pelle nera perché di madre congolese, e dunque malvisto dal regime), e in parte anche tennis e nuoto (benché le gare non si possano più fare nel Tevere, come alla fine dell’Ottocento).

Tuttavia non vanno trascurati gli sci! Conquistammo una insperata medaglia d’argento alle Olimpiadi invernali di Pechino nel 2022 con ragazza di Ladispoli.

Longo osserva anche come l’eredità degli architetti lasciata alle future generazioni è costituita dagli impianti sportivi, non più dalle cattedrali: si vedano le tre smaglianti costruzioni di Nervi (Palazzetto dello sport, Palazzo dello sport e Stadio Flaminio, in colpevole stato di abbandono), cui occorre aggiungere il trampolino circolare del Kursaal ad Ostia, nel 1950.

Ma è proprio riflettendo sulla fatale decadenza di quelle statue – spesso scheggiate o tronche – e parallelamente sulle innumerevoli esperienze sportive di riabilitazione e recupero (un atleta autistico partecipò nel 1993 a una maratona, percorrendola in meno di 4 ore) che possiamo riannodare per intero il legame dello sport con la cultura.




Di filippo la porta

È saggista, critico letterario e giornalista. Nel 2007 ha pubblicato un "Dizionario della critica militante" con Giuseppe Leonelli e "Maestri irregolari. Una lezione per il nostro presente", "Meno letteratura, per favore" (2010), "Pasolini" (2012), "Poesia come esperienza. Una formazione nei versi" (2013), "Roma è una bugia" (2014), "Indaffarati" (2016).