“La fontana di via del Progresso fu costruita nel/ secondo periodo di Giacomo della Porta nel/ 1591./ Via del Progresso collega santa Maria del/ Pianto con il Lungotevere dei Cenci./ Io siedo sui gradini di Santa Maria del Pianto./ È l’unico posto dove si può sedere”.
Versi e toponomastica: una combinazione che ha una sua rarità. Siamo nel poema “Scale d’acqua” del 1969 della poetessa danese Inger Christensen (1935-2009) uscito nel 2012 per i tipi della Kolibris Edizioni (collana Alfabet) in cui mi sono imbattuto – in entrambi, editore e poetessa, a dire il vero con esiti di sodalizio da cui due anni dopo sarebbe nato “Persone” – per caso e con piacere.
La fontana, che altri datano 1593 ed era collocata in piazza Giudea, prima delle modifiche fatte apportare da Innocenzo X conteneva dapprincipio due draghi zampillanti nella rappresentazione araldica delle famiglie Boncompagni e Borghese, e conchiglie con candelabri a sette braccia. Per quanto riguarda la toponomastica, per ritrovarla bisogna mettere sulle mappe piazza delle Cinque Scole.
Per quanto riguarda il poema, che prosegue alternando piazze e fontane, jaguar rosse e caffè, e va letto appunto come un’ascensione surreale e cinematografica, ci conduce da un luogo a un fuoriluogo con effetti stranianti che meriterebbero, oggi, una trasposizione animata in 3D.
La Christensen, per anni attesa al Nobel, non era nuova a operazioni di scomposizione persino con proporzioni numeriche ispirate a Fibonacci e con esiti di prematura ecologia.
Via del progresso, Rione Regola (da Renula, la sabbia del greto del Tevere su cui era costruito), dello stesso ne era per così dire un confine: che la Christensen vuole scalare.
“Ci sono due gradini intorno alla fontana di/ via del Progresso. È fatta di marmo che si dice/ sia stato preso dalla tomba di Nerone. Ci sono/ delle maschere ma non i delfini”. I delfini a cui allude la poetessa danese sono a quelli della fontana d piazza Colonna – una delle altre fontane che fanno scalare l’acqua. O che l’acqua fa scalare: maschere e delfini nel corso del poema, infatti, inizieranno a muoversi, poi a cantare – i delfini salteranno, invece, di fontana in fontana.
Il poema scritto nel quattro mesi romani da cui sortisce il capolavoro “ciò” (Det) è una epistola di viaggio nata dall’incontro con un volume fotografico “Le fontane di Roma” di Beata di Gaddo come ricorda nella postfazione Elisabeth Friis.
Le foto della fontana, tratte dal volume, sono di Sara Berni.
Da fare
Pare ovvio: pranzo o cena da Sora Margherita in piazza delle Cinque Scole tel. 066874216