Una donna va ad abitare in una casa e ne nasce un transfert. Il documentario “Alba Meloni. Stella nelle mie stanze” della regista Nadia Pizzuti è il racconto di un dialogo a distanza pur nella differenza.
La Pizzuti cerca nella sua casa le tracce della vecchia proprietaria – Alba Meloni, staffetta partigiana, che partecipò giovanissima alla Resistenza – ricomponendo i tasselli di un’identità perduta che mai come oggi ci parla, nelle scelte del coraggio e della differenza. Ed è la differenza il tema, come detto risalente del documentario. Nessuna facile e oleosa identificazione, nessun transfert genuflesso al mito lontano della lotta partigiana.
La combattente, nome di battaglia “Stella”, si presenta alla regista attraverso oggetti e libri rimasti nella casa. Una presenza vivida riverberata da registrazioni originali che ce ne restituiscono la voce e quella dei compagni e compagne di lotta, gli amici.
L’aria della abitazione, l’osservazione degli oggetti, i luoghi della vita, romana e testaccina, in particolare, compongono una lettera a un’Alba ormai scomparsa che passa per le immagini bellissime della casa e del quartiere, del Tevere che scorre inesorabile. Squarci di una romanità colta dalla bella fotografia della regista insieme a Lorenzo Pallini.
Un salto indietro ed ecco la Roma resistente tra Via Tasso e il bombardamento di San Lorenzo, l’orrore dell’occupazione e della guerra nella corale delle partigiane Luciana Romoli e Gianna Radiconcini che raccontano la Resistenza delle donne-staffetta, il loro ruolo delicato.
Poi il raconto di Alba-Stella nel dopoguerra quando diviene funzionaria nel Pci, lavorando nella redazione di Pattuglia, de L’Unità, Rinascita, Editori Riuniti, Noi donne e nell’Udi fino agli ultimi anni nel sindacato.
Un ruolo “di retrovia” ricostruito con l’aiuto dei compagni del Rione, come il senatore Emanuele Macaluso per non dimenticare la persona e ricordare alla fine del documentario come i luoghi preservino la memoria del tempo.